Marino Niola, la Repubblica 1/3/2011, 1 marzo 2011
DAI FILOSOFI GRECI AGLI HIPPY I CAPELLI RACCONTANO LA STORIA
Spesso un pelo dice più di mille parole. Ad affermarlo non è il tricomane Cetto La Qualunque ma Christian Bromberger, antropologo di fama mondiale, che ha appena dedicato all´argomento un libro dal titolo eloquente, Trichologiques. Duecentocinquantasei pagine di antropologia del pelo e contropelo. Un´indagine capillare su una questione leggera solo in apparenza. Perché il linguaggio pilifero è una costante della storia umana. E non esiste popolo che non abbia dato il suo contributo alla costruzione di una sorta di enciclopedia universale. Un´autentica wikipelia dove tagli, lunghezze, rasature, acconciature, velature, piegature, arricciature, scriminature, depilazioni, colorazioni, estirpazioni, assumono i significati più diversi, spesso opposti. Per i Greci la barba, attributo indispensabile dei filosofi, era segno di saggezza. Per gli antichi Romani, al contrario, rappresentava il contrassegno ormonale della giovinezza. Al punto che la prima rasatura, il rito della depositio barbae, coincideva con la vestizione della toga virile. Ma intorno ai quaranta un buon padre di famiglia doveva dare l´addio alla selvatica cespugliosità adolescenziale e presentarsi rigorosamente sbarbato.
Dal canto loro gli Islamici, che giurano sulla barba del Profeta, considerano l´onor del mento il corrispettivo maschile del velo. E i più integralisti lo ritengono obbligatorio. Mentre radono accuratamente le ascelle e le parti intime. Quando i Talebani nel 1996 presero Kabul imposero a tutti, pena la galera e la fustigazione pubblica, barba d´ordinanza e rasatura di tutto il resto.
Al contrario i regimi modernisti, come quello di Kemal Atatürk in Turchia e dello Scià in Persia imponevano agli impiegati pubblici di avere il viso completamente glabro.
Ma anche i Cristiani delle origini con il pelo ci andavano giù pesante. Il sentenzioso Clemente di Alessandria strillava come un´aquila contro la mollezza pagana dei centri di depilazione. Perché se dio avesse voluto l´uomo liscio come la donna non gli avrebbe dato la barba come ai leoni e come a Sansone, il kamikaze biblico. E oltretutto non gli avrebbe fatto crescere tutti quei peli. Che peraltro, aggiungeva, servivano soprattutto a nascondere quelle parti che il peccato originale aveva reso vergognose. Come dire che cogliere la prima mela aveva fatto perdere l´innocenza naturale ai trasgressori. Un´idea così radicata che quando i missionari, nel Cinquecento, videro per la prima volta gli Indiani delle Americhe li giudicarono esenti dalla colpa di Adamo e Eva per il semplice fatto che non avevano l´ombra di un pelo. Un modo elegante per dire che quelle creature piumate come gli animali non erano uomini come noi. Forse è per questo che ancora oggi molte messicane di origine ispanica non si depilano le gambe, per distinguersi dalle indie che le hanno lisce per natura.
E se la barba è il velo maschile per i seguaci di Maometto, i capelli sono il velo femminile per san Paolo. L´apostolo delle genti scrive espressamente ai Corinzi che per gli uomini portare i capelli lunghi come le donne è un atto contro natura. Lo sapevano bene hippy e capelloni che negli anni Sessanta si facevano crescere chiome iperboliche, a metà tra Lady Godiva e Emmy Lou Harris, apposta per far dispiacere a papà. E anche un po´ a san Paolo. Ed è soprattutto per dare un taglio a quell´ anarchia tricologica da Easy Rider, come alla lanosa promiscuità dei Rasta, che gli Skin si rasano il cranio. Perché un vero uomo non è una femminuccia. Ma nemmeno una vera donna deve essere una femminuccia, deve aver pensato a suo tempo la protagonista de "La garçonne", il romanzo di Victor Margueritte che all´indomani della Grande Guerra fa del taglio alla maschietta il simbolo dell´emancipazione femminile, quello che manda in pensione lo chignon. Non è un caso che da allora le donne comincino a fare ciò che vogliono della loro testa. Con la spinta decisiva delle prime pasionarie della moda, come Jeanne Lanvin, Madeleine Vionnet e Gabrielle Chanel, in arte Coco.
Insomma, peli barba e capelli nel loro insieme formano una grammatica naturale che distingue i generi, gli status e le identità. Etniche, religiose e perfino politiche come mostrano baffoni alla Stalin, baffetti alla Hitler, e barbe marxiste, guevariste, mazziniane. Come dire che la storia si fa spesso per un pelo.