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 2011  marzo 02 Mercoledì calendario

La ripresa c’è: il Pil cresce più del previsto - L’economia e la finanza pubblica italiana mostrano miglioramenti superiori a quelli previsti, ma anche nuo­ve difficoltà

La ripresa c’è: il Pil cresce più del previsto - L’economia e la finanza pubblica italiana mostrano miglioramenti superiori a quelli previsti, ma anche nuo­ve difficoltà. Queste in gran parte sono dovute a fattori esterni. Nel 2010, dal punto di vista del prodotto naziona­le, il Pil è andato meglio del previsto. Si era affermato che esso sarebbe cresciuto solo dello 0,9 per cento, perché questa era la valutazione cor­rente, fra molti analisti inter­nazionali e la sinistra italiana ci aveva costruito tante criti­che al governo. Ma il consun­tivo del 2010, secondo l’Istat, dà un aumento dell’1,3: una crescita del 44% maggiore di quella dello 0,9. Il nostro Mi­nistero dell’economia aveva invece previsto un aumento dello 1%, in seguito rettifica­to a 1,1. Anche esso risulta su­perato. Come si nota, ha ragione Tremonti nel dire che il gover­n­o ha tenuto una linea di pru­dente realismo, con i piedi saldamente per terra. Certo, una crescita di 1,3 per quanto superiore alla previsioni è pur sempre un risultato mo­desto, sia in assoluto, sia in confronto alla performance di altri stati come Germania, Francia e Stati Uniti. Ma l’Ita­lia, avendo un elevato onere di debito pubblico, aveva bi­sogno di attuare una politica di bilancio molto prudente. Il governo è riuscito a contene­re il deficit pubblico al 4,6% del Pil contro una previsione del 5%. Ciò rende più realisti­co il pareggio del bilancio en­tro il 2015 che ci chiede la Co­munità Europea e che ci oc­corre per mettere in sicurez­za i conti pubblici e puntare sulla crescita. Data la pruden­za nel bilancio, la crescita del nostro Pil è dipesa dalla bril­lante ripresa delle esportazio­ni, mentre la domanda inter­na di consumi è rimasta con­tenuta e gli investimenti so­no stati a un livello modesto. Una causa di ciò è la capacità produttiva inutilizzata, che scoraggia gli investimenti nuovi. Ma l’investimento sa­rebbe stato maggiore e il Pil sarebbe cresciuto di più, se le burocrazie urbanistiche ed edilizie non avessero soffoca­to il piano casa ideato da Ber­lusconi, con l’aumento dei va­ni costruibili nei fabbricati esistenti. Le macchinose pro­cedure dei lavori pubblici hanno rallentato il rilancio degli investimenti in opere pubbliche e infrastrutture, mentre le complicazioni nel­l’utilizzo dei fondi europei e italiani per le aree meridiona­li h­anno fatto sì che gli investi­menti siano andati a rilento. A ciò si aggiunga la crisi della Fiat ora in fase di rilancio, che nel 2010 ha fatto molta cassa integrazione, conseguenza del suo pregresso declino di competitività. Sarebbe me­glio che la Cgil non frappones­se ostacoli al nuovo modello di contratto di lavoro azienda­le lanciato da Marchionne, basato sulla produttività. E qui subentra la riflessione sul tema di come fronteggiare l’inflazione, che a febbraio è arrivata al 2,4%. È un po’ me­no della media europea, ma è pur sempre un fenomeno ne­gativo che incide sul potere di acquisto del lavoro dipen­dente e dei titoli a reddito fis­so delle famiglie. L’inflazio­ne ha cause esterne. L’enor­me quantità di moneta emes­sa dalla Federal Reserve, la Banca Centrale degli Usa, ac­quistando centinaia di miliar­di di dollari di debito pubbli­co del governo federale, si è diffusa sui mercati interna­zionali, facendo salire i prez­zi delle materie prime, in par­ticolare petrolio e alimentari di base. Con il tasso di interes­se quasi a zero sui mercati monetari, gli speculatori comprano materie prime a termine, scommettendo sui rialzo dei prezzi, che essi stes­si così accentuano, in quanto la loro domanda si aggiunge a quella dei Paesi in via di svi­luppo in forte crescita. I disor­dini nell’Africa settentriona­le contribuiscono ad accen­tuare questo rialzo, anche se si tratta di un fenomeno tran­­sitorio, dato che l’offerta effet­tiva di petrolio non si è ridot­ta, perché l’Arabia Saudita ha aumentato la sua. Noi possia­mo combattere l’inflazione solo con lo sviluppo della pro­du­ttività del lavoro e delle en­tità produttive private e pub­bliche. Ciò consente di avere un miglioramento di com­pensi, che controbilancia i rincari, senza alimentare una spirale fra salari e prezzi. Con le imprese che dipendo­no dal commercio estero e i vincoli al bilancio pubblico, questa è l’unica strada percor­ribile. E anche per il proble­ma della­disoccupazione gio­vanile vale una analoga consi­derazione. Però continuano a aumentare gli immigrati che fanno lavori che i nostri non amano fare e ci sono mol­te domande di manodopera inesaudite per arti e mestieri a cui troppo pochi si indirizza­no.