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 2011  marzo 02 Mercoledì calendario

De Benedetti: “Meno finanza e più economia” - Non credo nella finanza fine a sé stessa. Con una ripresa ancora difficile, ma che alla fine del tunnel vede anche un rialzo dell’inflazione, sono da privilegiare gli investimenti in beni reali»

De Benedetti: “Meno finanza e più economia” - Non credo nella finanza fine a sé stessa. Con una ripresa ancora difficile, ma che alla fine del tunnel vede anche un rialzo dell’inflazione, sono da privilegiare gli investimenti in beni reali». Da venerdì scorso, pagati gli azionisti che hanno aderito alla sua Offerta d’acquisto, Carlo De Benedetti ha in mano la maggioranza assoluta di Management & Capitali. Non una società qualsiasi. Quando nacque, nel 2006, avrebbe dovuto essere un fondo salva-imprese che metteva assieme una fetta succulenta del potere economico italiano, compresa l’accoppiata agrodolce De Benedetti-Berlusconi. Non è mai successo e ora, conclusa l’Opa che lo porta al controllo assoluto della società, l’Ingegnere interpreta la storia e anticipa il futuro di un’azienda «sempre oggetto di attenzioni molto particolari». Ammetterà che quel calcio d’inizio, con lei e Berlusconi nella stessa squadra, fu un choc per molti. «Dietro certi giudizi c’era un po’ di provincialismo italiano e un po’ di ignoranza su quello che era un fondo del genere. E’ vero, ho sottovalutato l’effetto della presenza di Berlusconi, ma ero abituato agli Usa, dove in un fondo di private equity guidato da George Bush I era investitore anche la famiglia Bin Laden. Se in America succede questo abitualmente, perché in Italia Berlusconi non poteva investire con me?». Eppure le reazioni più forti vennero proprio dal suo giornale, dal cosiddetto «partito di Repubblica». «Non c’è nessun partito. Ma certo, la cosa era considerata particolarmente bizzarra da chi lavorava in quel giornale, critico con il premier. E visto che io volevo fare un fondo e non creare un evento, chiamai Berlusconi e gli dissi che non se ne faceva niente perché la questione era diventata politica». Poi i vostri rapporti sono tornati alla normalità. Le polemiche, la causa sul Lodo Mondadori... «Penso di essere l’unico italiano che ha fatto causa a Berlusconi». Per di più vincendola... «In primo grado sì. Attendiamo la sentenza d’Appello fiduciosi delle nostre buone ragioni». Ma che cosa farà adesso M&C con De Benedetti azionista al 53%? «Prima di tutto lasci che le dica che cosa ha fatto M&C in questi anni. E’ l’unica azienda italiana che ha restituito la maggior parte del capitale ai propri azionisti. Una mossa inaudita, per il capitalismo italiano, affermare che il capitale è dei soci e non dei manager». Eppure M&C non è percepita come storia di successo. Sarà che di imprese ne ha salvate poche... «E’ una percezione sbagliata. Guardi questa tabella: dal 19 giugno 2006, primo giorno di quotazione, alla conclusione dell’Opa, e tenendo conto dei 62 centesimi di capitale restituiti per ogni azione, il socio di M&C ha guadagnato oltre il 16% mentre i principali titoli finanziari italiani hanno perso in misura variabile, dal -56% di Unicredit al -31% di Generali, e l’indice di Borsa ha ceduto il 35%». Forse però, sarebbe giusto parlare anche di Cdb WebTech, da una cui costola nacque M&C. Quella non è stata una storia di successo. «Cdb WebTech non c’entra. E’ una società passata attraverso la bolla di Internet, quando Tiscali arrivò a capitalizzare una volta e mezzo la Fiat. Se la gente non sa analizzare i propri investimenti, io che ci posso fare?». Questa estate Consob ha multato per insider trading su Cdb WebTech alcun parenti di sua moglie... «Nessuno mi ha accusato di nulla. La Consob ha ritenuto che alcuni parenti di mia moglie avessero agito in modo non corretto. Personalmente non ci credo, ma comunque non sono coinvolto nella vicenda sebbene il mio nome attragga, anche in modo improprio, l’attenzione». Torniamo agli investimenti di M&C. «Sarà il consiglio a selezionarli e deciderli. Io, come azionista di controllo darò solo un input strategico». E quale? «Vorrei che l’azienda investisse per creare valore per tutti gli azionisti, scegliendo opportunità d’investimento analoghe a quelle che io seleziono nel gestire il mio patrimonio attraverso il mio "family office"". Una gestione opportunistica, non concentrata solo sul mercato italiano, che potrà spaziare da partecipazioni industriali a quelle immobiliari, senza escludere nulla. Non ci sarà comunque un impegno di gestione industriale, come accadeva in precedenza in M&C». Sarà una holding, una Cir bis? «Proprio no. La Cir ce l’ho già, sono l’azionista "di ultima istanza" e non vedo perché dovrei duplicarla». Ha già qualche idea sugli investimenti di M&C? «Certamente, ma non dico nulla». Ci spieghi almeno oggi dove conviene, secondo lei, investire. «Questo è un momento di grande incertezza. La situazione in Nord Africa e forse nel Medio Oriente presenta grandi interrogativi, prima di tutto umanitari, nel caso del dittatore Gheddafi, omicida in massa della sua gente: Ma gli eventi possono avere anche gravissime conseguenze economiche: in quell’area si concentra il 36% delle riserve di petrolio del mondo e un ulteriore rialzo del greggio potrebbe inficiare la debole ripresa europea sia quella più forte in corso negli Usa. E’ un momento in cui bisogna essere molto cauti a prendere decisioni». E dunque, gli investimenti? «Penso - ma lo dico come criterio generale e non come programma della società - che usciremo dalla crisi con un aumento dell’inflazione. Quindi ritengo che in questa fase l’investimento in beni reali a medio-lungo termine sia premiante, mentre è da escludere la finanza fine a sè stessa». Detto da lei che ha fama di finanziere più che di industriale... «Della fama lo so, ma se permette ho creato un gruppo come Omnitel che oggi impiega oltre diecimila persone». Alla fine non sono stati molti gli azionisti che hanno aderito alla sua Opa. Pagava poco o pensa che vogliano scommettere assieme a lei? «Io sono molto soddisfatto di come è andata. Questa società ha il record mondiale delle Opa. Ne ha avute ben quattro: tre a prezzi da rapina, alle quali non ho aderito, e poi la mia che offriva quasi il doppio della precedente. Ritengo che molti azionisti abbiano pensato, e non sbagliano, che io voglio farne qualcosa». Dobbiamo leggere la presa di controllo di M&C come il suo ritorno sulla scena di piazza Affari? «Macché. Qui bisogna chiarire un equivoco. Due anni fa, avendo compiuto 75 anni, ho ritenuto giusto lasciare le cariche operative nel mio gruppo e coerentemente ho abbandonato la presidenza di Cir, di Cofide e poi anche di M&C. Anche perché mi sono assicurato una straordinaria successione, visto che mio figlio Rodolfo, amministratore delegato di Cir, è universalmente stimato. Ma detto questo, come investitore sono rimasto assolutamente attivo. Lo sono in Cir e Cofide e lo sarò anche in M&C». Cinque anni dopo rivorrebbe Berlusconi al suo fianco, così come avrebbe dovuto essere allora? «No, perché rimane il danno che ha fatto al Paese. Specie in questa ultima fase, dove si è capito che non vuole o non sa governare». Ingegnere, la prima fila al Palasharp; D’Alema che in qualche mese fa un’affettuosa polemica a distanza le dà del "Berluschino". Lei, insomma, continua a flirtare con la politica. «Nessun flirt, ma passione e coerenza politica, distinte dell’attività. Ho passione politica da quando a 22 anni, ero presidente dell’Associazione studenti del Politecnico a Torino. In quanto alla coerenza ho sempre votato repubblicano, finché è esistito quel partito, e mi considero legato culturalmente all’Azionismo torinese». E l’attività? «Il Dna autocratico dell’imprenditore non è adatto a esercitare l’arte della politica. Se poi per giunta uno vuole fare contemporaneamente l’imprenditore e il politico...».