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 2011  marzo 02 Mercoledì calendario

Com’è strano quell’orangutan fermo lì da 15 milioni di anni Barzelletta dall’imprevedibile significato scientifico

Com’è strano quell’orangutan fermo lì da 15 milioni di anni Barzelletta dall’imprevedibile significato scientifico. In una vallata silenziosa e deserta del Tibet ci sono tre santoni in meditazione, immobili come statue. Dopo cinque anni passa un cavallo. Dopo altri cinque anni il primo dei tre osserva: «È passato un cavallo». Dopo altri cinque anni il secondo commenta: «Com’era veloce». Dopo altri cinque anni il terzo sbotta: «Allora, se non la piantate di far casino, io piglio e me ne vado!». Ecco, l’evoluzione genetica degli orangutan va più o meno a questo ritmo, solo che il periodo tipico di immobilità fra un evento e l’altro non è di cinque anni, ma di 15 milioni. Il Dna degli oranghi è stato appena sequenziato ed è emersa una caratteristica sorprendente: questi nostri lontani parenti, nei 15 milioni di anni vissuti come specie distinta, non hanno quasi cambiato il loro patrimonio cromosomico, poi (all’improvviso) circa 400 mila anni fa si sono divisi in due specie distinte, dopodiché il loro Dna ha ricominciato a dormire, che a quanto pare è la cosa che sa fare meglio, e probabilmente gli orangutan si preparano ad altri 15 milioni di paciosa immobilità, purché noi gli concediamo la grazia di sopravvivere (perché sono a rischio di estinzione, ed è tutta colpa nostra). Sulle cause e sui meccanismi di una tale immobilità genetica di lunghissimo periodo, che è facile trovare (tanto per dire) nei crostacei, ma è insolita negli animali più complessi, gli zoologi si stanno interrogando. L’identikit genetico degli orangutan è stato tracciato per ultimo fra quelli delle scimmie antropomorfe (cioè umanoidi), perché gli oranghi, in quanto nostri parenti più lontani nell’ambito di questo gruppo, sembravano (a priori) i meno interessanti. Comunque la storia biologica del gruppo scimmiesco a cui apparteniamo si può sintetizzare così. Fino a 15 o 16 milioni di anni fa gli antenati degli attuali esseri umani, degli scimpanzé, dei gorilla e degli orangutan erano un’unica specie vivente e saltavano da un ramo all’altro delle foreste dell’Africa. Circa 15 milioni di anni fa avvenne una prima separazione: gli oranghi si distinsero come specie e presero una direzione del ramo evolutivo, mentre tutte le altre scimmie antropomorfe continuarono a rappresentare una specie singola. Nei milioni di anni seguenti questo ramo africano della famiglia si differenziò prodigiosamente dal punto di vista genetico. Sette milioni di anni fa si staccarono come specie distinta i gorilla e un milione di anni più tardi i nostri antenati umani si differenziarono dagli scimpanzé. Dagli scimpanzé si staccò, un paio di milioni di anni fa, il ramo dei bonobo, mentre il nostro ramo umanoide produsse di tutto e di più: australopiteco, herectus e via via fino all’homo sapiens (con molti tentativi intermedi, vicoli ciechi evolutivi ed estinzioni strada facendo). Che cosa succedeva, nel frattempo, nell’altro ramo, quello degli oranghi separatosi 15 milioni di anni fa? Praticamente niente. L’analisi genetica dice che il Dna degli orangutan in tutto questo tempo non ha quasi subìto modifiche, a parte 400 mila anni fa una modesta separazione in due specie, forzata dall’isolamento geografico, fra gli oranghi del Borneo e quelli di Sumatra (peraltro rimasti molto simili). Per dirla tutta, la sensazione di immutabilità della famiglia oranghesca potrebbe essere attribuibile (in parte) a un errore di prospettiva: in realtà una certa differenziazione di specie affini, vissute per milioni di anni in Asia, c’è stata; ma quando dall’Africa sono arrivate nuove scimmie antropomorfe, e poi gli esseri umani, che andavano a far loro concorrenza nelle stesse nicchie ecologiche, i parenti più prossimi degli oranghi si sono estinti e gli unici a sopravvivere sono stati quelli delle isole del SudEst. Ma anche alla luce di questa ricostruzione storica il Dna non mente: quello degli oranghi attuali, il ramo diretto sopravvissuto 15 milioni di anni, è quasi identico a quello di 15 milioni di anni fa. Questi sono il dato di fatto e il mistero da spiegare. Richard K. Wilson, direttore del Centro del genoma della Washington University, la mette giù così: «Se al vostro computer selezionate un paragrafo di un testo e poi lo duplicate, lo spostate o lo cancellate, oppure invertite la sua posizione con quella di un altro paragrafo, fate quello che fa il genoma con le sequenze del Dna». E questo è avvenuto un’infinità di volte nella storia evolutiva umana, ma quasi mai in quella degli oranghi. Che dire? Si possono fare almeno due considerazioni. Sul piano genetico, i meccanismi della conservazione, contrapposti a quelli della plasticità, meritano di essere studiati più a fondo. Ma sul piano dei risultati, il Dna degli orangutan si è mostrato perfetto per l’ambiente insulare in cui queste scimmie sopravvivono. Adesso, di fronte all’avanzata dell’uomo, che distrugge le foreste, restano solo 50 mila oranghi a Sumatra e 7 mila nel Borneo; almeno questi ultimi paradisi terrestri cerchiamo di lasciargleli.