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 2011  marzo 02 Mercoledì calendario

Gelo e stenti stroncano la fuga infinita di Daniel - Lo hanno trovato in una nicchia tra le rocce, al fondo di un pendio di rovi e fango, dove termina un sentiero che porta fino ai piedi di questo torrente, il Chiusella, che qui tutti chiamano «l’Orrido», tra gole e massi che scendono a picco come lame di coltello

Gelo e stenti stroncano la fuga infinita di Daniel - Lo hanno trovato in una nicchia tra le rocce, al fondo di un pendio di rovi e fango, dove termina un sentiero che porta fino ai piedi di questo torrente, il Chiusella, che qui tutti chiamano «l’Orrido», tra gole e massi che scendono a picco come lame di coltello. Aveva cercato rifugio qui, rannicchiato come per difendersi dal freddo, senza scarpe e senza giacca. Addosso solo un paio di jeans e una camicia. «Morto di stenti» dicono i vigili del fuoco che, ieri pomeriggio, hanno recuperato il cadavere di Daniel Busetti, il ventenne di Martinengo, nel bergamasco, scappato dieci giorni fa dopo aver causato un incidente stradale e ferito quattro persone. Una fuga senza senso, contro tutto e tutti e terminata tra questi boschi di castagni e pioppi ai piedi della Valchiusella, nel Canavese. Credeva d’aver fatto una strage, di averle uccise quelle quattro persone. Invece non era vero niente. Invece stavano tutte bene. Daniel non lo sapeva e così era scappato dai suoi fantasmi, vagando prima tra le campagne del bergamasco, poi, in treno da Milano era finito fin qui. Dicono che cercasse rifugio a Damanuhr, la Comunità di Baldissero Canavese che si ispira al Dio Horus e che attira adepti da mezzo mondo. Forse il nome di questo posto gli era rimasto impresso pochi giorni prima, quando i telegiornali avevano parlato di Marilena Piretti, la studentessa triestina che si pensava fosse fuggita per raggiungere questa Comunità e che, invece, poi avevano trovato tra le colline e le montagne sopra Siena. Che volesse arrivare fin qui è certo. Lo ha raccontato ai carabinieri un autista di pullman: «Mi ha chiesto quale fosse la strada per Damanhur». L’ultima persona a vederlo ancora vivo, poi, è stato proprio uno degli abitanti della Comunità, Francesco Lai, che qui tutti conoscono come «Bue muschiato». Era lunedì 21 febbraio. Daniel è sbucato dal buio della montagna che sta alle spalle della recinzione. «Era spaventato». Poi: «Mi ha detto come si chiamava e mi ha raccontato d’aver fatto un disastro. Mi ha detto che erano due giorni che non mangiava, che dormiva sulla panchine e che voleva tornare a casa». Quando Francesco Lai gli ha chiesto di entrare, lui però è scappato via. Così come era arrivato. Quella notte lo hanno cercato ovunque. Ai carabinieri della Compagnia di Ivrea e ai vigili del fuoco si sono uniti in tanti: decine di volontari, uomini e donne della protezione civile. Qui i pioppi e i castagni sono così fitti che di giorno non filtra nemmeno la luce del sole. Di notte, poi, pare un posto dimenticato da Dio. Daniel ha vagato tra grovigli di rovi e sterpaglie, rivoli d’acqua che bucano la terra e vecchie cascine abbandonate. Fuggiva per paura d’essere arrestato. L’ultima volta che lo avevano visto è stato martedì della settimana scorsa. Erano le 11.30. Daniel ha incrociato una squadra della Croce Rossa, ma non si è lasciato prendere. «È corso via, come una lepre». C’era anche Pasquale Busetti, il papà di Daniel, quel mattino. La notte prima aveva lasciato nel bosco cibo, acqua e una giacca: «Avrà freddo e fame, povero figlio mio». Ma nessuno li aveva raccolti. Lui, però, non si è mai arreso. «È ancora vivo» ha continuato a ripetere, con quei suoi occhi pieni di fatica, lanciando in questi giorni appelli in televisione e sui giornali, affiggendo ovunque la fotografia del figlio. A parlare era il cuore. La testa, forse, gli diceva altro. Assieme a David, l’altro figlio più piccolo che dall’elicottero dei pompieri, per giorni, ha continuato a ripetere col megafono al fratello di «stare tranquillo, di tornare a casa perché quelle quattro persone dell’incidente stavano tutte bene», Pasquale ha macinato chilometri e chilometri tra boschi e sentieri persi tra queste montagne cupe e grigie. Non ha mai mollato. Neppure quando erano stati trovati gli scarponcini del figlio, abbandonati, uno accanto all’altro, a pochi passi da un sentiero di melma e fango che corre verso il basso. È da questo sentiero che scende a picco verso il torrente che Daniel ha imboccato la sua strada senza ritorno. Ieri papà Pasquale si è inginocchiato davanti alla salma del figlio, chiusa in una cerata arancione e adagiata sul prato dall’elicottero dei vigili del fuoco. Ha sentito tutta la stanchezza piegargli il corpo. Le parole sono arrivate come un sussurro: «Ora, per favore, lasciatemi piangere in pace il mio Daniel».