MATTIA FELTRI, La Stampa 2/3/2011, 2 marzo 2011
Fare leggi? No, l’onorevole deve cambiare casacca - Alla Camera lavorano cinquantasessanta persone», ha detto lunedì Silvio Berlusconi, ripromettendosi per la centesima volta di ridurre drasticamente il numero dei parlamentari
Fare leggi? No, l’onorevole deve cambiare casacca - Alla Camera lavorano cinquantasessanta persone», ha detto lunedì Silvio Berlusconi, ripromettendosi per la centesima volta di ridurre drasticamente il numero dei parlamentari. In quel momento, in aula c’erano ventiquattro persone. Diciassette funzionari, il presidente di turno (Rosy Bindi), quattro deputati del Partito democratico (Guido Melis, Nazzareno Oliverio, Alessandro Bratti e Roberto Giachetti), uno del Pdl (Roberto Tortoli), un rappresentante del governo (il senatore e sottosegretario all’Istruzione Guido Viceconte). «Abbiamo presentato questa mozione - stava dicendo Oliverio - per scuotere il governo». Ma né Viceconte né Tortoli si sono scossi. Si discuteva di «iniziative per la bonifica dei siti contaminati di interesse nazionale» e va ricordato che era lunedì, che tradizionalmente di lunedì i palazzi della politica sono deserti, sebbene non si capisca che cosa abbia di così straordinario il lunedì, per i rappresentanti del popolo, né perché si stabiliscano lavori destinati al dileggio di seicentoventiquattro assenti su seicentotrenta. Quando si stendono articoli come questo, le premesse sono necessarie. Si premette che lunedì alla Camera circolavano altri sette o otto deputati, come per esempio il leghista Raffaele Volpi, della sezione di Capriolo, provincia di Brescia, che proprio ieri ha inviato un messaggio al presidente Gianfranco Fini: «Va a ciapà i ratt». Si premette che ieri erano molto più numerosi e, a proposito di produttività, che le leggi varate non sono un indice definitivo, che i criteri adottati dall’associazione OpenPolis (tipologia di atto, consenso ricevuto dall’atto, il suo iter, la partecipazione del parlamentare ai lavori) sono stati ieri criticati da Massimo D’Alema («Non riflettono la complessità del lavoro del parlamentare»), giunto seicentoventunesimo su seicentotrenta, ed elogiati lunedì dalle quattro parlamentari del Pd risultate ai primi quattro posti per redditività. In ogni caso, nel corso della XIV legislatura (2001-2006, presidente Berlusconi) sono state approvate 147 leggi di iniziativa parlamentare (una media di due e mezzo al mese); nella legislatura successiva (2006-2008, presidente Romano Prodi) ne sono state approvate 13, cioè circa una legge ogni due mesi; infine, in questa legislatura si è avuta una leggera risalita a 37 leggi, e cioè praticamente una al mese. Se si guarda alle leggi di iniziativa governativa, il calo è ancora più evidente: circa nove leggi al mese nel 2001-2006, poco più di quattro nel 2006-2008, poco meno di cinque nel 2008-2011. Ma, insomma, a parte queste due ultime drammatiche legislature, quella 2001-2006 ha generato 686 leggi, quella precedente (1996-2001, premier Prodi, D’Alema, Amato) ne ha generate 898. Anche se ha risvolti sclerotici, ce ne si rende conto, il misurare il valore di un Parlamento per la quantità di norme sfornate e quella di un ministro (alla Semplificazione, Roberto Calderoli) per la quantità di norme cancellate. Detto questo, farà un pochino impressione notare che dall’inizio dell’anno sono state approvate tre leggi, tutte e tre uscite dall’esecutivo, e stiamo parlando di un esecutivo che, nella penultima seduta del Consiglio dei ministri, ha visto il suo presidente scocciato coi colleghi, che poco lo aiutano a rimpolpare un ordine del giorno sempre più miserello. Per i feticisti, si tratta di disposizioni sull’etichettatura dei prodotti alimentari, sul ciclo dei rifiuti in Campania, su vari trattati internazionali. Forse sono altre le cifre più adatte a esprimere il senso di quest’ultimo giro di Camere. In 34 mesi, i 945 parlamentari hanno prodotto soltanto 37 leggi ma ben 113 cambi di casacca. E cioè sono 113 (85 deputati e 28 senatori) i parlamentari che dall’inizio della legislatura hanno cambiato gruppo. Nella legislatura 2001-2006, furono 103 in cinque anni, una media di venti all’anno. Qui la media sale a quasi quaranta all’anno, per un incremento del cento per cento. Ma il numero di 113 è impreciso, perché ci sono parlamentari (per esempio Silvano Moffa, Maria Grazia Siliquini e Catia Polidori) che hanno cominciato la legislatura nel Pdl, l’hanno proseguita tra i finiani di Futuro e Libertà, sono quindi transitati nel Misto per approdare, provvisoriamente, nei gruppi dei Responsabili. Pertanto i cambi di maglia salgono a 134, sempre che nella serata di ieri non ce ne siano stati di ulteriori. Non sarebbe strano, visto che alcuni (come Pasquale Viespoli e altri senatori ex finiani) risultano iscritti a gruppi dai quali hanno già deciso di andarsene. Uno dei problemi riguarda la composizione delle commissioni: l’addio di Fini e dei suoi alla maggioranza ha causato uno squilibrio per cui in alcune commissioni cruciali il governo è in minoranza. Creare nuovi gruppi (i Responsabili, quello in arrivo di Gianfranco Miccichè...) significa ridiscutere le presidenze e le composizioni per esempio della bicameralina per il Federalismo e della commissione Bilancio della Camera. Sono queste le aritmetiche cui sono destinati gli sforzi dei nostri. E sì che l’attuale legislatura doveva essere quella del riscatto dei parlamentari dalla fama di nullafacenti. Fini aveva ipotizzato un mese composto da tre settimane lavorative complete, comprensive di lunedì e venerdì di sgobboneria matta e disperatissima, e una di libertà perché i parlamentari curassero il collegio, sebbene i collegi, in pratica, non esistano più: per garantirsi un futuro nel palazzo e una serena vecchiaia, deputati e senatori necessitano semmai dell’apprezzamento dei leader, che li rimetteranno in lista e in zone più o meno sicure. Così oggi tutto sembra ridotto a guerra di trincea - e la trincea è il Parlamento - dove gli eletti danno l’impressione di esercitare la libertà di mandato più come una libertà di mercenarismo. E dove anche l’arbitro sommo è da molti reputato un capitano di ventura. La conseguente desacralizzazione è un passo già compiuto, con Umberto Bossi che infrange le regole marmoree portandosi il figlio Trota al ristorante della Camera - fin qui severamente riservato a parlamentari ed ex - e sfumacchiando un sigaro alla capogruppo, alla faccia delle impotenti proteste di Fini.