Martin Wolf, Il Sole 24 Ore 2 marzo 2011, 2 marzo 2011
QUANTO CI COSTERÀ LA LIBERTÀ
Che conseguenze avranno le rivolte del mondo arabo per il resto del mondo? Una cosa che possiamo affermare con certezza è che l’idea che esista un’"eccezione araba" che renderebbe le popolazioni di quei paesi limitatamente sensibili a cose come la libertà d’espressione e la partecipazione politica, è morta e sepolta. Ma sappiamo anche che la strada che porta dalla dittatura a una democrazia stabile, in paesi poveri con istituzioni deboli e una storia di repressione, è lunga e difficile.
Oltre a tutto questo c’è l’incertezza sulla velocità con cui si diffonderà la rivolta, non solo all’interno del mondo arabo ma anche oltre. Il presupposto era che i paesi esportatori di petrolio, avendo la possibilità di distribuire ricchezza al loro interno, fossero al sicuro. Gli eventi in corso dimostrano che l’aspirazione a far sentire la propria voce sulla scena politica è un sentimento universale. Questa ondata forse si esaurirà; altre ne seguiranno.
Soffermiamoci ora sulle conseguenze economiche. Fintanto che i paesi produttori di petrolio rimanevano immuni al contagio si poteva giudicarle minime sul breve periodo e modeste sul lungo. Ma a quanto sembra i paesi produttori di petrolio non sono immuni. Il risultato è che i prezzi del greggio sono schizzati, martedì, oltre i 114 dollari al barile, il 64% in più rispetto al maggio del 2010. Per chi ha memoria dei passati shock, è un presagio funesto. La domanda è: quanto ci dobbiamo preoccupare?
Come ha fatto notare la scorsa settimana Gavyn Davies, in un eccellente commento sul sito del Financial Times: «Tutte le ultime cinque flessioni importanti dell’attività economica mondiale sono state immediatamente precedute da una forte impennata del prezzo del petrolio».
Uno shock petrolifero produce effetti economici complessi: trasferisce ricchezza dai consumatori ai produttori; fa calare la spesa complessiva, perché i consumatori normalmente riducono la loro spesa più rapidamente di quanto i produttori incrementino la loro; dirotta la spesa da altri beni e servizi; arricchisce i paesi esportatori di petrolio e impoverisce i paesi importatori di petrolio; fa salire il livello dei prezzi; fa calare i salari reali e la redditività dei settori che fanno uso di energia; riduce l’offerta, perché la piena utilizzazione diventa antieconomica.
Che cosa possiamo dire, in questa fase iniziale, riguardo a tutti questi effetti? Davies osserva che ai prezzi attuali un balzo in avanti del prezzo del petrolio da 20 dollari al barile farebbe aumentare la spesa per il petrolio di circa l’1% sulla spesa mondiale per tutte le categorie di prodotti. Ma negli ultimi 10 mesi il prezzo è salito di 40 dollari, cioè un effetto pari a quasi il 2% della produzione mondiale: abbastanza da innescare un rallentamento importante dell’economia globale, almeno nel breve periodo. A conti fatti, come fa notare Davies, a rimetterci sarebbero soprattutto le economie emergenti, a maggiore intensità di energia rispetto a quelle dei paesi avanzati. Anche gli Usa, con le loro politiche energetiche dissipatrici, sono decisamente più a rischio dei loro colleghi industrializzati.
Oltre a tutto ciò, molto dipenderà da quanto durerà questa impennata dei prezzi e dalle contromisure che verranno adottate. Se il recente balzo in avanti del petrolio si rivelerà di corto respiro, l’effetto si esaurirà. Un interrogativo fra i più importanti è quanta influenza avranno questi tumulti su altri produttori, in particolare l’Arabia Saudita. Per il momento Riyadh è in grado di sostituire la produzione libica che è venuta a mancare.
Se i compratori pensano che lo shock sarà breve, saranno più disposti ad attingere ai loro risparmi. Finora, le economie emergenti importatrici di energia erano penalizzate da un limitato accesso al credito, da riserve valutarie inadeguate e da una posizione con l’estero debole. Negli anni 70, quando le economie emergenti si indebitarono per finanziare le importazioni di petrolio, si ritrovarono a dover fronteggiare negli anni 80 una grave crisi del debito. Ora questo scenario non dovrebbe ripetersi: anche le economie emergenti hanno soldi da spendere per superare uno shock di breve durata.
Inoltre, fintanto che le aspettative d’inflazione rimarranno sotto controllo, le Banche centrali non avranno nessuna necessità d’intervenire con misure preventive. Da questo punto di vista, i paesi ad alto reddito sono in condizioni molto più propizie dei paesi emergenti, dove l’inflazione è un pericolo più concreto e le aspettative d’inflazione non sono altrettanto sotto controllo.
Torniamo quindi al punto di partenza: l’incertezza è grande sotto il cielo. Sappiamo che questo sommovimento politico è importantissimo, che forse è uno spartiacque storico. Sappiamo anche che lo shock petrolifero potrebbe essere abbastanza importante, anche se certo non catastrofico e forse piuttosto breve. Nel complesso le implicazioni politiche sul lungo periodo appaiono molto più rilevanti di quelle economiche. Ma questo ottimismo sugli effetti economici a breve termine si fonda in parte sul presupposto che le rivolte non si estendano ulteriormente. E dunque anche sul perpetuarsi di quel vecchio e osceno baratto: la repressione come il prezzo da pagare per un approvvigionamento stabile di greggio. Per i consumatori è conveniente. Ma è moralmente auspicabile, o anche politicamente sostenibile, sul lungo termine?
(Traduzione di Fabio Galimberti)