Marco Imarisio, Corriere della Sera 02/03/2011, 2 marzo 2011
QUEI VELENI SUI VOLONTARI: «SIAMO DIVENTATI GLI EX EROI» —
All’improvviso Giovanni Valsecchi si sente vecchio. Succede tutto in pochi secondi. Un idiota in bicicletta gli sfreccia accanto all’imbocco di via Rampinelli. Togliti quella divisa gialla, gli urla, che tanto non serve a niente. Il responsabile della Protezione civile di Brembate vorrebbe rincorrere il ciclista anonimo per tirargli un calcio nel sedere, ma quello è già lontano, scappa e intanto gli sta facendo anche il verso. «Ti rendi conto? Io quello lo conosco, è un ragazzo del paese» . Nonostante i baffi bianchi, il cappello da alpino, e il giaccone fosforescente a far da cornice, oggi il tratto prevalente nella sua figura è la mestizia. «Mi dispiace proprio tanto» . Valsecchi era diventato una figura nota a livello nazionale. Il capo dei volontari che facevano di tutto per trovare la ragazza scomparsa, perlustravano ogni anfratto, ogni metro di terreno. E con la loro presenza trasmettevano l’immagine confortante di una comunità mobilitata, che scacciava i brutti pensieri affidandosi a un grande sforzo collettivo. Sappiamo come è andata. Adesso è come se il rinvenimento del corpo di Yara avesse generato un gorgo nel quale rischia di essere gettata una generosità purtroppo inutile e tutto il bene che è stato profuso in questa tragedia. Un cupio dissolvi che sembra avvolgere il paese, con il sindaco chiuso in un silenzio carico di cattivi pensieri, le maestre che accompagnano gli scolari al corso di nuoto, nel centro dove è stata vista per l’ultima volta Yara, e intimano di parlare a bassa voce. «Cercate di avere rispetto» , dicono, come se stessero per entrare in una cattedrale e non in una piscina comunale. Sabato sera, Valsecchi ci ha messo la faccia. Si è offerto alle telecamere del Tg1 per dire che quel campo era già stato perlustrato in precedenza, se il corpo ci fosse stato lo avrebbero trovato. Il Previtali, qui si chiamano tutti per cognome, lo tirava per la giacca. Vieni via, lascia stare. «E avevo ragione a fare così — afferma ora il suo vice —. Abbiamo sbagliato a parlare, dovevamo stare zitti, lasciare che fossero gli altri a dare spiegazioni» . Anche quell’uscita viene rimproverata ai volontari della Protezione civile. Non hanno trovato Yara, che stava a poca distanza dal loro campo base, e parlano pure. «Nel giro di un giorno siamo passati da eroi a coglioni» sintetizza Luigi Previtali. Su 91 giorni di ricerche non ne ha mancato neppure uno. Oggi è costipato dall’influenza, ma si presenta alle transenne che sbarrano la via che porta alla casa della famiglia Gambirasio, dove alcuni dei suoi ragazzi smistano altrove il poco traffico. «Non mi sembra giusto. Magari abbiamo sbagliato ma non ci meritiamo questo» . Il processo ai volontari va in onda a reti quasi unificate, e l’onda d’urto non è facile da reggere. Valsecchi e quelli come lui devono già fare fronte al senso di colpa per quella che chiamano «una figuraccia» . Ma la discesa dagli altari alla polvere è davvero troppo repentina, impossibile non percepire il gusto tutto italiano di sporcare le cose buone. Gli inutili sforzi diventano motivo di sospetto, qualcuno scrive addirittura che tra i volontari c’è un Giuda assassino che avrebbe usato la pettorina come un travestimento. «Abbiamo partecipato di cuore. Se abbiamo sbagliato è solo per eccesso di generosità» . Giuseppe Manzoni è il responsabile degli Alpini bergamaschi che hanno costituito la spina dorsale di questa vana ricerca di Yara. I suoi 1.300 volontari hanno complessivamente rinunciato a 4.000 giornate di lavoro, tutte passate tra fango e sterpaglie. Lunedì è dovuto andare dai magistrati a spiegare come venivano impiegate le squadre e la genesi della fallita ricognizione al campo di Chignolo d’Adda, avvenuta lo scorso 12 dicembre. «Noi volontari eravamo a supporto delle forze dell’ordine. Erano loro che ci dicevano dove andare, cosa fare e dove guardare. Decidevano loro. E noi facevamo il nostro dovere» . C’è molta rabbia repressa per queste accuse di scarsa professionalità, la sensazione condivisa di fungere da capro espiatorio quando è altrove che si dovrebbe puntare il dito, per giustificare indagini che ristagnavano da almeno un mese. «L’unica volta che ho fatto qualcosa di testa mia — dice un Valsecchi sempre più abbattuto — ho portato una squadra ad Almenno, per controllare una cascina abbandonata. Apriti cielo, mi hanno fatto subito tornare indietro. E avevano ragione, senza ordini superiori si sta fermi» . L’onda d’urto rischia davvero di travolgere tutto. In questi giorni c’è un clima di resa dei conti, sta nascendo una sorta di campanilismo tra gente che ha lavorato insieme per tre mesi. Quelli che hanno perlustrato il campo di Chignolo erano di Filago e Ambivere, dicono a Brembate, se fossimo andati noi Yara l’avremmo trovata. «Non facciamoci del male tra noi» dice Valsecchi. Ha ragione. Nessuno di loro merita questi frutti avvelenati. Comunque ieri lui era al suo posto, alle transenne di via Rampinelli. Gratis. Volontario. E faceva pure molto freddo.
Marco Imarisio