Giuseppe Scaraffia, Corriere della Sera 01/03/2011, 1 marzo 2011
QUELLA STRADA DELLA DISINVOLTURA CHE PORTA FINO ALLA BARDOT
«Quando Albertine rientrò nella mia stanza aveva un abito di raso nero, che contribuiva a renderla più pallida, a fare di lei la parigina livida, ardente, intristita dalla mancanza d’aria, dal clima delle folle, e forse dall’abitudine al vizio» , scrive Marcel Proust, profondamente influenzato dalla pittura dell’epoca. Il ritratto di Albertine somiglia molto a quelli di Berthe Morisot in nero, dipinti da Manet. Ma è solo uno dei due volti della «parigina» , l’ideale di donna libera e seducente proposto a tutto il mondo dalla capitale del XIX ° secolo. Infatti per non perdere l’altro lato di questa creatura osannata dai poeti e dai romanzieri bisogna considerare la piccante innocenza di un’altra tela, Il bagno, dipinto dalla stessa Morisot. È la disinvoltura che troviamo, questa volta spolverata di vizio, nell’Olimpia di Manet, di cui Baudelaire sottolineava «lo charme irresistibile» . O della morbida Misia Sert dipinta dal vecchio Renoir, entusiasmato dal suo fascino: «È molto più che bella!» . È la cupa, ironica avvenenza di Lantelme, l’attrice destinata una morte tragica e inspiegabile, dipinta da Boldini. Qui la parigina è illuminata dal lucido nero dell’abito e del vasto cappello, da cui si sprigionano, in un malioso disordine, i capelli ricciuti. È la seduzione dell’intelligente, nevrotica madame Straus, una delle regine dei salotti parigini, ritratta in un luttuoso nero da Delaunay. È la sfinge moderna del primo Picasso, la «Fernande Olivier in mantiglia nera» , lo sguardo assorto, così diversa dai sorridenti nudi fotografici di Fernande. È il «bijou rose et noir» , il gioiello vivente rosa e nero, cantato da Baudelaire. Sarebbe stata Kiki di Montparnasse, la stella della bohème, a prendere il testimone nel primo dopoguerra. Talmente libera che Kisling, vedendola a un tavolino del Café de la Rotonde, pesantemente truccata per sembrare meno giovane, i capelli alla garçonne e la frangia sulla fronte, la prese per una puttana. Con la sua allegria, la sua indipendenza e la sua spregiudicatezza, Kiki incarnava la gioia di vivere della parigina moderna. «Era molto bella da guardare — ricorda Hemingway — aveva un bel viso e ne aveva fatto un’opera d’arte» . Come un’altra spregiudicata musa dei pittori, Joséphine Baker che, sbarcata in Francia insieme al jazz e ai suonatori neri della «Revue négre» , aveva sedotto il pubblico con il suo dinamico talento e la maliziosa naturalezza della sua nudità. Una linea che riaffiora, uguale e diversa, nella scandalosa avvenenza di Brigitte Bardot, a suo agio nuda o vestita. Apparentemente niente di più lontano dalle «belle dames sans merci» del secolo precedente di questa sfacciata ragazza, ma Simone de Beauvoir, attenta alla «nuova Eva, sintesi fra frutto acerbo e donna fatale» , aveva riconosciuto in B. B. «l’esemplare più completo di queste ambigue ninfe» . Al contrario delle sue colleghe dell’Ottocento, la Bardot poteva esplicitare francamente la sua autonomia sessuale, il suo erotismo senza mistificazioni: «L’amore voglio che sia senza ipocrisia, senza storia!» .
Giuseppe Scaraffia