Alfio Sciacca, Corriere della Sera 01/03/2011, 1 marzo 2011
UNA BORRACCIA PER SVELARE IL MISTERO DI GIULIANO
Quando la soluzione del giallo sembra ormai vicina, improvvisamente si allontana. Esattamente come Turiddu Giuliano che sulle montagne di Montelepre costruì la sua fama di primula del banditismo siciliano. Da mesi magistrati e periti stanno cercando di svelare i misteri che ruotano attorno alla sua morte. Perché c’è chi ritiene che il cadavere trovato il 5 luglio del 1950 in un cortile di Castelvetrano non sia il suo. La leggenda lo vorrebbe addirittura scampato alla caccia che gli dava il Cfrb (Corpo forze repressione banditismo) del colonnello Luca, grazie a una sorta di patto Stato-mafia e a un salvacondotto per gli Stati Uniti. Per questo il 28 ottobre scorso nel cimitero di Montelepre è stato riesumato il cadavere per prelevare dei resti da cui estrarre il Dna, successivamente comparato con quello del nipote Salvatore Sciortino. Qualche settimana fa i magistrati avevano categoricamente smentito la notizia che dava per risolto il giallo. E in effetti solo in questi giorni i tre periti nominati dalla Procura di Palermo, Livio Milone, Renato Biondo e Francesco De Stefano, hanno consegnato una prima relazione che però non chiude ancora il caso. Anzi per certi versi continua ad alimentare il mistero. «I periti — spiegano gli inquirenti — hanno stabilito che quel cadavere sepolto nel cimitero di Montelepre ha un qualche grado di parentela con Sciortino. Ma questo non dà ancora la certezza che si tratti di Salvatore Giuliano» . Tra l’altro, si fa notare, è facile che in un cimitero di un paesino come Montelepre il confronto del Dna sveli un qualche grado di parentela. Come dire: l’accertamento avrebbe fornito la condizione necessaria ma non ancora sufficiente per dire al 100%che in quella tomba è stato sepolto il bandito Giuliano. Da qui la decisione di disporre nuovi accertamenti medico-legali che, grossolanamente, si potrebbero definire diretti. I periti hanno chiesto di analizzare degli indumenti o altri oggetti in uso al bandito, in modo da poter estrarre, se ancora possibile, tracce di Dna da comparare con quello del cadavere. «Con questi ulteriori accertamenti — dice il procuratore aggiunto Antonio Ingroia — speriamo di poter mettere la parola fine su questa vicenda» . Tra brandelli di vestiti, cinturoni, binocolo e altro materiale che ancora esiste del «re di Montelepre» pare che i periti siano orientati a cercare tracce di Dna su una vecchia borraccia. Ma dopo 61 anni è ancora possibile? Gli esperti dicono di sì. E dunque la Procura ha dato via libera al nuovo accertamento che dovrebbe anche essere l’ultimo prima di chiudere in qualche modo un’inchiesta aperta a 60 anni di distanza, sulla base di un esposto presentato da due ricercatori siciliani. Sono stati Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino a mettere in forse l’identità del cadavere ritrovato nel cortile De Maria a Castelvetrano. Foto e filmati d’epoca sono stati esaminati anche dal professor Alberto Bellocco, docente all’Università Cattolica di Roma, che ha sollevato «seri dubbi che possano essere attribuiti allo stesso cadavere» . Insomma le varie immagini, tutte attribuite a Giuliano, potrebbero essere di persone diverse. Da qui il sospetto che anche il cadavere sepolto a Montelepre possa non essere quello del bandito. Sempre molto scettico il nipote di Giuliano, anche sui nuovi accertamenti. «Ma non c’è più niente di mio zio — dice Sciortino — molto del materiale che era al museo di criminologia a Roma pare sia stato rubato. Per me è meglio chiuderla qui questa storia. Lasciamo stare in pace i morti. Per soddisfare una curiosità siamo già arrivati all’assurdo» .
Alfio Sciacca