Fulvio Gioanetto, il manifesto 1/3/2011, 1 marzo 2011
IL PREZZO DELL’ASPARAGO
Una dozzina d’anni fa l’arido deserto costiero della regione di Ica, nordovest del Peru, ha cominciato a colorarsi di verde. Il paesaggio è cambiato, e anche la situazione economica della popolazione locale, da sempre in povertà endemica. Era successo che, con un gigantesco investimento della Banca Mondiale attraverso il suo «braccio» finanziario Ifc, imprenditori e sudamericani hanno cominciato a costruire serre, sistemi di irrigazione e perforazione di pozzi e hanno creato il «miracolo dell’agroesportazione peruviana e dell’agroindustria sostenibile». Oggi questo è un «cluster dinamico» di una sessantina di imprese che creano almeno 120 mila posti di lavoro annuali e un fatturato di 400 milioni di dollari, esportando asparagi con marche proprie in una dozzina di paesi tra cui Spagna, Inghilterra, Francia, Giappone, Olanda e ovviamente Stati Uniti.
La scorsa settimana l’organizzazione non governativa inglese Progressio ha presentato a Londra altri dati di questo «miracolo» - i consumatori britannici sono sempre di piú sensibili al costo ambientale, al commercio orizzontale e equo e alla tracciabilitá degli alimenti. L’asparago richiede grandi quantità d’acqua e va irrigato continuamente: almeno 2000 metri cubici per ettaro, il doppio dell’acqua disponible per la popolazione locale, che si deve rassegnare a acqua razionata e sempre più scarsa. L’acquifero della regione di Ica rappresenta una delle poche riserve di acqua sotterranea della popolosa costa peruviana e secondo la specialista Roxana Orrego si sta seccando: «se si continua a estrarre a questo ritmo nel 2013 la falda acquifera può sparire», spiega: i 14.600 agricoltori usano un totale di 633 milioni di metri cubici annuali, contro un livello massimo di sfruttamento disponibile di 311 milioni di metri cubici annuali. Non é possibile continuare a coltivare asparago da esportazione che richiede tanta preziosa acqua in una zona desertica».
A questo si aggiunga che il cambiamento climatico ha sconvolto i ritmi stagionali delle pioggie: le precipitazioni nel fiume Ica in gennaio sono state del 77% inferiore ai livelli normali.
Asparago a parte, tempo fa l’Università Cattolica Peruviana ha tenuto un semionario sullo «sfruttamento responsabile dell’acqua» nella regioni di Ica e La Libertad per analizzare l’impatto ambientale dei nuovi progetti di coltivazione della canna da zucchero per biodiesel - altra pianta che richiede molta acqua. Tutti, esperti, agricoltori e ong ambientali concordano che una delle possibili soluzioni é l’uso efficiente dell’acqua. L’Iproga, ong di ricerca locale che lavora con i produttori della vallata, ha iniziato a lavorare a sistemi di irrigazione a goccia, di gel ecologici di assorbimento di acqua, di rinfiltrazione della falda idrica che si disperde o evapora, di canalizzazione e di costruzione di una diga nel vicino Rio Prisco. Una proposta è che le 6 maggiori aziende esportatrici di asparago dimezzino la propria superficie di semina, risparmiando 75 milioni di metri cubi all’anno.
Alcuni piccoli produttori che da sempre pagano cara l’acqua superficiale - a differenza delle imprese che utilizzano e non pagano l’acqua sotterranea che estraggono dai loro pozzi - si chiedono perché continuare a produrre un ortaggio per esportazione cosí oneroso in acqua. E propongono di riprendere la coltivazione di altri ortaggi, tradizionali e no come l’uva quebranta, che sono adattati al torrido clima regionale.