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 2011  febbraio 27 Domenica calendario

MUTI: IL MIO CUORE CAPRICCIOSO

«Il mio cuore invece di essere un allegro maestoso è diventato un allegro capriccioso. Ma ora sto benissimo». Il maestro Riccardo Muti, in un colloquio con Repubblica, parla per la prima volta del malore che lo ha colpito il 3 febbraio sul podio della Chicago Symphony Orchestra, facendo tremare il mondo della musica.

Ha un cuore ricco di musica, Riccardo Muti. Ma è anche un cuore bizzarro, che può sorprendere per stranezze ritmiche, «e invece d´essere un Allegro Maestoso diventa un Allegro Capriccioso», dice al telefono da Chicago il direttore d´orchestra. Sembra di ottimo umore, ben disposto e loquace. Pronto a volare presto sulla rotta dell´Italia. Eppure di recente il suo grande pubblico ha tremato: il 3 febbraio, durante una prova a Chicago, Muti perde i sensi, e la caduta dal podio gli provoca lesioni al volto. Ricovero, apprensione, fratture plurime alla faccia e inserimento di un pace-maker. Tutti i media internazionali ne parlano: Muti è un campione della musica tra i più acclamati e ammirati del pianeta. «In realtà sto benissimo, e il mio cuore è in condizioni che il bollettino medico dell´Università di Chicago ha definito superbe», dice tranquillo. «Però è soggetto a brachicardie: a causare lo svenimento è stato un improvviso ritmo troppo basso, e ora il pace-maker ha risolto il problema».
Non ha alcun ricordo del malore e non si è spaventato, passando direttamente «dal movimento lento della Quinta Sinfonia di Sciostakovich alla visione di un gruppo di infermiere intorno al mio letto d´ospedale». Erano invece atterriti gli orchestrali «che mi hanno visto crollare a terra con un tonfo repentino e sordo», e lo spettacolo deve aver tolto il fiato a Domenico, il più giovane dei suoi tre figli, presente in sala. I musicisti con cui stava provando sono quelli della Chicago Symphony, orchestra che il maestro giudica «meravigliosa», segnalandola come «la prima degli Stati Uniti e una delle tre migliori al mondo» (sottintendendo, si suppone, che le altre siano la Filarmonica di Vienna, con cui collabora intensamente da quarant´anni, e i Berliner Philharmoniker). Con la compagine americana, della quale è music director, ha un´intesa così speciale «da sentire Chicago come una seconda casa», e l´inizio del suo incarico, nel settembre scorso, venne festeggiato con un concertone da rock star, che accolse nel Millennium Park venticinquemila spettatori plaudenti.
L´abbraccio tra la fascinosa metropoli di Obama e il più mediterraneo tra i grandi musicisti odierni si è rinnovato nella situazione d´emergenza, come ci riferisce: «Qui, nel Northwestern Memorial Hospital di Chicago, mi hanno curato in modo straordinario, ed è profonda la mia gratitudine verso medici come il cardiologo Bradley Knight e il chirurgo maxillofacciale Alexis Olsson, che ha sistemato le fratture del mento e degli zigomi dall´interno non intaccando il mio viso rimasto uguale a prima, senza cicatrici». E quasi si commuove raccontando che «i musicisti dell´orchestra hanno appena voluto fare due concerti in ospedale per ringraziare dottori e infermieri della maniera attenta e generosa in cui si sono presi cura di me».
Tra poco sarà a Roma per dirigere al Teatro dell´Opera, dal 12 al 24 marzo (e il 17, in sala, ci sarà anche il presidente della Repubblica), uno dei capolavori dell´amato Verdi, Nabucco, vessillo ideale dell´Unità d´Italia soprattutto grazie al coro del Va pensiero, intonato dagli ebrei banditi dalla propria terra e possente nell´esprimere l´universalità del sentimento patrio. Questo Nabucco è per Muti «irrinunciabile non solo per la felicità di ogni nuovo approccio a un´opera magnifica, ma per l´impegno preso con il teatro della capitale, con cui ho un rapporto privilegiato in Italia. Nelle ultime stagioni vi ho diretto Otello, Ifigenia in Aulide e Moïse et Pharaon con esiti di alta qualità. L´orchestra e il coro mostrano di aver intrapreso un cammino costruttivo, e già stiamo facendo nuovi progetti per il futuro». Regia e scenografia sono di Jean-Paul Scarpitta, i costumi li firma Maurizio Millenotti, il protagonista è Leo Nucci e l´allestimento sarà «poetico e semplice, come richiede un´opera che è quasi un grande oratorio messo sulla scena». In passato, oltre ad averlo inciso per la Emi nel ´77 (disco memorabile, con la Philharmonia di Londra), ha affrontato più volte questo titolo verdiano, a partire da un´edizione anni Settanta realizzata con Luca Ronconi per il Maggio musicale fiorentino, che «giocava sul duplice elemento biblico e risorgimentale, e terminava con Nabucco abbigliato secondo la classica iconografia del sabaudo Vittorio Emanuele II. Sovrapposizione interpretativa innocente, se paragonata ai sovvertimenti delle regie odierne. Ma all´epoca protestò il loggione, al grido di un "Ronconi in Arno!" lanciato con spiccata inflessione toscana».
Fu sempre Nabucco, nell´86, la sua prima opera come direttore musicale della Scala, con la regia di Roberto De Simone: trionfale apertura di un viaggio conclusosi quasi vent´anni dopo in modo burrascoso, «come un temporale che arriva in fretta. Ciò che mi resta è la memoria di un periodo bellissimo in cui la mia vita si è veramente saldata con la Scala». Con quel Nabucco ruppe una tradizione scaligera instaurata niente meno che da Toscanini, che proibiva il bis di qualsiasi brano di un´opera. «Ma era così calda e persistente la richiesta del pubblico che decisi di ripetere il Va pensiero. E la mattina dopo, sui giornali, intervennero sul tema i massimi personaggi dell´industria, della finanza, della cultura e della politica: giusto o sbagliato eseguire il bis? Pareva un affare di Stato, in un´Italia dove l´amore per il melodramma pulsava ancora spinto fino alle forme smaccate del tifo. Oggi, nella deriva culturale a cui assistiamo, un dibattito del genere sarebbe impensabile».
Piace a Muti, citando il messaggio implicito in Nabucco, evocare il proprio amore patrio. Non ha mai temuto di dichiararlo, «anche a fine anni Sessanta, quando essere patriottici voleva dire farsi additare come individui sospetti di ideologie politiche che non mi sono mai appartenute. Ho sentito sempre come una benedizione l´essere nato nella terra di Dante, Leonardo, Raffaello e Caravaggio, piena di bellezze naturali e di splendore artistico, e ricordo che quando, nel ´71, cominciai a dirigere a Salisburgo, nel passare la frontiera tra Italia e Austria soffrivo molto nel vedere le bandiere italiane piccole e stracciate dal vento, mentre le austriache, lunghe e larghe, sventolavano con gioia». Oggi cittadino del mondo, Muti guarda all´Italia come a un paese «unito da una storia millenaria, dalla lingua e da un sentimento che nonostante tutto batte forte, al di là degli aspetti più superficiali e squallidi della nazione attuale». E insiste sul declino che ha investito i nostri teatri: «In Italia ci sono tanti bravi musicisti che vogliono competere col mondo e bisogna metterli in condizione di farlo. Non potrà mai accadere se non si sovvenzionano le istituzioni musicali. Se l´arte viene penalizzata il paese crolla, divorato dalla bruttura di manifestazioni televisive che per le nuove generazioni stanno purtroppo diventando il pane quotidiano. Capitali musicali come Roma, Napoli, Milano, Firenze, Venezia, Bologna e Palermo sono in gravi difficoltà, e questo è un delitto che non ci sarà perdonato, non solo dalle nostre generazioni future, ma dal mondo intero».
Pochi giorni fa, dagli Stati Uniti, è giunta la notizia che Muti ha vinto due Grammy, gli Oscar della musica, col Requiem di Verdi inciso con i complessi di Chicago: uno per il migliore album classico dell´anno, l´altro per il migliore disco sinfonico-corale. E lui avverte che «bisogna riflettere su riconoscimenti tanto prestigiosi dati sì a Verdi e a un direttore d´orchestra italiano, ma anche a un coro e a un´orchestra americani. Triste constatare quanto sia scemato l´interesse internazionale nei confronti dell´apporto dell´Italia sul versante musicale».
In prossimità di un compleanno tondo (compie settant´anni in luglio, «ma non li sento addosso per niente»), Muti ha pubblicato un´autobiografia, Prima la musica, poi le parole (Rizzoli), «molto voluta dai miei figli, che mi stimolavano a dare testimonianza dei miei incontri, delle mie esperienze, del mio entusiasmante itinerario nella musica vissuta sempre un po´ come in un sogno». È il ritratto appagante e privo di presunzione «di un uomo nato in una normale famiglia del Sud che tramite lo studio, la disciplina e una serie di bravissimi insegnanti, sia al liceo classico che ai conservatori di Bari, Napoli e Milano, si è ritrovato giovanissimo alla guida del Maggio musicale fiorentino, per poi dirigere la Scala lungo quasi un ventennio e raggiungere i podi delle massime istituzioni musicali europee e americane, incluso quello del concerto di Capodanno a Vienna, che ho diretto quattro volte».
C´è un Muti malinconico, severo e fosco. E ce n´è un altro irruente, estroverso e pieno di genuino senso dell´umorismo. È questo Muti più solare a emergere da un libro colmo di aneddoti e di umanità, e aperto da un travolgente amarcord sui tempi dell´infanzia e della scuola a Molfetta in Puglia: «Però sono nato a Napoli: così volle mia madre, napoletana, per tutti e cinque i suoi figli maschi. Se un giorno girerete il mondo, ci diceva, quando vi chiederanno dove siete nati e risponderete Napoli vi rispetteranno, mentre con Molfetta perdereste tempo a spiegare dove sta». Napoli è radicata in lui anche musicalmente, come dimostra il bel progetto sulla scuola settecentesca partenopea che dirige da cinque anni a Salisburgo, e che ha valorizzato su una ribalta internazionale una dimensione «rilevantissima per tutto il teatro musicale europeo e innanzitutto per Mozart». È uno dei risultati ai quali oggi tiene di più, insieme ai Viaggi dell´amicizia del Ravenna festival presieduto da sua moglie Cristina, fervida organizzatrice di questi appuntamenti in forma di concerti nelle città più difficili e ferite, da Sarajevo a Gerusalemme e alla New York post-11 settembre, «quando diressi Va pensiero nel silenzio sinistro di Ground Zero. Luoghi in cui ho avuto davvero la sensazione che la musica fosse un profondo tessuto connettivo per tutti gli esseri umani, un atto d´amore capace di stabilire un autentico legame spirituale tra la gente».