GIUSEPPE VIDETTI , la Repubblica 28/2/2011, 28 febbraio 2011
BAHRAMI, IL PIANISTA IN FUGA DA TEHERAN "MI HA SALVATO BACH"
Aveva 15 anni e frequentava da un anno il conservatorio di Milano quando arrivò la telefonata. Chiamavano da Teheran. Il ragazzino percepì l´esitazione nella voce del fratello. Mormorò: «Non c´è bisogno che parli, hanno ucciso papà vero?». Dall´altra parte silenzio. Non c´era bisogno di aggiungere altro. Sul filo correva solo dolore. «Ci misi due giorni per riuscire a piangere. La prima cosa che feci fu avvicinare le mani al pianoforte e suonare il più triste momento musicale di Schubert in La bemolle maggiore, un misto di nostalgia, dolore, disperazione trattenuta», racconta Ramin Bahrami, 34 anni, che oggi vive a Stoccarda ed è considerato uno dei più grandi pianisti bachiani. Il 22 marzo l´artista iraniano pubblica "Johann Sebastian Bach: Piano concertos" (Ed. Decca), un album realizzato con la Gewandhausorchester di Lipsia diretta da Riccardo Chailly.
Lei dice che Bach le ha letteralmente salvato la vita.
«Mi ha insegnato a convivere col dolore, ad avere dignità e controllo anche nella disperazione, a non piangere se non in solitudine, perché non voglio né compassione né finta amicizia. Mio padre mi scriveva dal carcere: "Frequenta Bach, non ti lascerà mai solo". Gli ho dato ascolto, e Bach mi ha salvato dal suicidio. Ho scelto di non drogarmi, di non bere, ma di suonare. E di suonare solo Bach».
Oggi, dopo 22 anni che non rientra in Iran, sembra aver metabolizzato il dolore in ottimismo.
«Merito dell´arte. Senza la musica sarei finito in manicomio. Quando vennero i fascisti islamici a trascinare via da casa mio padre ero ancora in Iran. A quel punto cominciai a frequentare il pianoforte. Le sembrerà paradossale, ma io non amo lo strumento. Lo amo come oggetto di comunicazione, ma tutto ciò che sfocia in esibizionismo, volgarità, circo, virtuosismo è inutile. Bach insegna l´umiltà, a dialogare, a perdersi nello spazio e nel tempo. Non ha nulla di superfluo. Mai. Una lezione che il signor Allevi, che si spaccia per un profeta della musica, dimostra di non aver imparato. Ma anche i ciarlatani hanno il diritto di vivere in democrazia».
Quando fu sedotto da Bach?
«A cinque anni, in un pomeriggio autunnale a Teheran, ascoltando un disco di Glenn Gould che ci aveva regalato un´amica francese. La prima cosa che mi colpì fu la Toccata della Partita N.6, per me fu come scoprire un mondo colorato, un caleidoscopio magico pieno di figure».
Poi ebbe occasione di andare in Germania.
«A Francoforte fui ammesso come lo studente più giovane della Hochschule für Musik. Rimasi solo un mese. Dopo la rivoluzione i nostri soldi non valevano più niente. Mi rapì l´Italia, invece. Il console, che era venuto ad ascoltarmi a Teheran, mi indirizzò al conservatorio di Milano, dove ebbi la fortuna di studiare col grande Piero Rattalino».
Cosa ha conservato della cultura persiana?
«Il gusto e il culto del Bello. I valori della tolleranza, il senso di una società cosmopolita; nell´impero persiano convivevano più di 80 popoli diversi, e senza schiavi. La cultura, nel senso moderno del termine, nasce in quelle terre. Non c´erano divinità, noi avevamo sempre in mente due concetti fondamentali, il bene e il male di cui parlava Zoroastro, un´idea avanzata che ha ispirato anche Gesù. Abbiamo settemila anni di storia precristiana noi».
Com´era la sua vita a Teheran da bambino?
«Mio padre era un ingegnere per metà tedesco e metà iraniano, mia mamma era russo-turca. Grazie a mio papà mi sono avvicinato alla musica colta occidentale, Brahms, Beethoven… già a tre anni facevo finta di dirigere come se fossi un von Karajan. Ho vissuto sulla mia pelle la guerra contro l´Iraq. Quando avevo due anni c´è stato un cambiamento radicale, il passaggio dallo Scià all´Ayatollah. Reza Pahlavi stava creando un paese felice, pur con tutti i difetti di una tirannide. La rivoluzione islamica ha cancellato ogni forma di… contrappunto. La musica di Bach è ancora una lezione di civiltà e di cultura per i nostri politici, così assetati di profitto. Finché avremo questi governanti, che ignorano il contrappunto, il mondo andrà sempre peggio. Sono molto rattristato e incazzato per quello che sta succedendo in Iran. La repressione è spietata, la situazione gravissima, il popolo sta lottando per i diritti primari. E cosa dice il signor Obama? Appoggiamo il popolo. Ma la sua finta solidarietà non ci serve. Non riusciamo neanche a contare le vittime a causa dell´isolamento mediatico. Intervenga come ha fatto in Iraq e in Afghanistan piuttosto».
Nel disco in uscita c´è un´altra lezione di storia mutuata da Bach?
«In un mondo che va a rotoli, l´arte è la salvezza, Bach ci insegna come le diversità possono essere indipendenti e forti nell´unione. Mentre incidevamo, facevo rimarcare al maestro Chailly che in una partitura avevo riconosciuto una melodia iraniana, una canzone klezmer che conosco benissimo. Bach è davvero il Platone della musica».
Bach è la sua religione. Ha mai peccato con altre musiche?
«Ora sto studiando la musica turca antica, e ho scoperto magie inedite. Sono cresciuto anche con Charles Aznavour, musica popolare armeno-turca, e Frank Sinatra. In casa, a colazione si ascoltavano le sinfonie di Beethoven. Erano la nostra sveglia. A mezzogiorno canzoni leggere o West Side Story, a merenda un video di Claudio Arrau… Per la verità mi piacciono anche Vasco Rossi. Joan Baez, Dylan, Elvis, Mina».
Qual è oggi la sua più grande paura?
«L´indifferenza e l´imbarbarimento a livello globale. Il decadimento della solidarietà, della comprensione, l´ascesa dell´impero degli egoismi. Stiamo navigando contro la cultura. Che Bach ci salvi».