Giorgio Dell’Arti, La Stampa 27/2/2011, PAGINA 86, 27 febbraio 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 78 - LA MITRAGLIA DI SANTA ROSA
Come andò questo incontro con Santa Rosa? Cavour deve averlo preso per la collottola. «Di’ questo, e poi di’ quest’altro» . Era presente Castelli. Scrisse che il conte aveva adoperato parole «energiche» . Quando Santa Rosa fu uscito, si rivolse a Cavour: «Lo ha proprio caricato a mitraglia». Santa Rosa seppe poi farsi valere in questa riunione dei decurioni? Alla grande. Il Consiglio aveva all’ ordine del giorno la concessione della Guardia civica, «ma prima che alcuno fra i consiglieri prendesse la parola a questo riguardo sorge il sig. Cavaliere Derossi di Santa Rosa il quale emette il seguente discorso: "Eccellenze, Noi viviamo in un’epoca tanto straordinaria, così piena d’avvenimenti, che ne accade spesso al giorno d’oggi trovarci in tutt’altra condizione di cose da quella di ieri» . Disse che lunedì scorso la questione della Guardia civica poteva apparire essenziale, ma «oggi, […]a parer mio, dovrà essere subordinata ad un’altra molto più importante» . Riassunse quello che era accaduto negli ultimi tre mesi, «il Re, nel proclamar le riforme, ha compiutamente mutato sistema di governo. Prima delle riforme il nostro Governo era paterno, benefico per la moderazione e la sapienza del nostro reggitore, ma pienamente assoluto ». Adesso invece, con la libertà di stampa e la legge municipale, «ha gettato i semi d’ordini deliberativi che tardi o tosto germineranno» . Proprio nella libera stampa, «che può impunemente infiammare le passioni a cui non è posto freno» sta il pericolo: in assenza di «un organo legittimo di pubblica deliberazione» il Re non avrà la forza morale né di accogliere né di resistere alle «manifestazioni qualsiasi illegali dei desideri della moltitudine». La parola “costituzione” venne pronunciata poco dopo: «Le riforme di Napoli furono coronate colla conceduta Costituzione. Ecco la gran parola che doveva pronunciare alle Eccellenze Vostre. Ecco la gran parola che io stimo abbia a prendersi ad argomento della solenne proposizione che intendo sottoporre alla vostra deliberazione!» . Seguivano considerazioni sulla Guardia civica ( «ottenendo la Costituzione, si avrà la Civica come conseguenza» ) e sul pericolo austriaco ( «l’Austria farà ogni sforzo per mantenere le sue possessioni italiane e influire negli Stati italiani […], ma non vuole, non può badar ad impedire qualsiasi nuovo ordinamento…» ). Poi la questione se i piemontesi fossero o no maturi per il sistema rappresentativo: «E certo noi siamo altrettanto educati a ciò dei Napoletani che l’ottennero, ai quali, possiam dirlo francamente, sovrastiamo in moderazione, in sapienza civile, in integrità di costumi» . Infine: «Quello che desidero è che si giunga a questo complemento con una concessione solenne, ma spontanea. Che il Re la conceda, coronandosi di nuova gloria […]e non sorga il tempo in cui gli sia strappata dalla violenza per cui egli abbia a scadere dall’ altezza a cui già s’innalzò» . Erano presenti quarantotto persone, e applaudirono. Santa Rosa aveva praticamente imparato a memoria gli articoli di Cavour.
Sineo? Non potè che «concorrere nel sentimento del signor cavaliere Derossi di Santa Rosa» . Prese poi la parola una seconda volta e disse che il discorso di Santa Rosa era stato splendido. S’andò infine al voto «per bossoli» (cioè mettendo una palla bianca o nera nell’urna) sulla proposta di chieder subito, oppure no, la costituzione e i «sì» vinsero 36 a 12. Aveva votato per la costituzione anche il vecchio marchese di Cavour, il gran reazionario.
Così il re fu costretto a cedere. Dal fioretto era stato sciolto dal vescovo di Vercelli, monsignor d’Angennes. Aveva in realtà già fatto preparare un testo, una «base», raccomandandosi «de ne pas imiter servilement les autres nations» . Il 7 febbraio, ore 8 del mattino, venne riunito il Consiglio di conferenza, integrato dai notabili del Paese. La Tour provò a riproporre il suo progetto di costituzione assolutista e venne tacitato da Borelli. Non era più tempo di privilegi. Insistette allora che «in democrazia bisogna comunque distinguere i proprietari da quelli che non possiedono niente, che il governo s’appoggi ai proprietari, gli altri non essendo che portatori di disordine». Cesare Alfieri invitò a cedere alla tendenza del secolo: siano investiti della responsabilità «coloro che esercitano un ascendente sulle masse e che possono con questo dar forza al governo».
I giornalisti? Il vero senso di quello che stava per succedere lo diede il conte Gallina: «È necessario a questo punto appellarsi alle classi medie, istruite e che partecipano alla vita pubblica. Il punto di vista di costoro domina e diventa ogni giorno più importante, benché siano in numero molto inferiore al resto della popolazione». L’aristocrazia s’inchinava ai nuovi ricchi, ai borghesi, ai capitalisti, preparandosi a ceder loro la mano della cosa pubblica. Romeo: «E alla fine di quel Consiglio di Conferenza, protrattosi per una intera giornata, vennero approvate le “Basi” dello Statuto, così denominato per sottolinearne il carattere di autonoma emanazione dell’autorità reale; e con il suo annuncio, il giorno successivo, ebbe termine la vecchia monarchia piemontese».