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 2011  febbraio 28 Lunedì calendario

Volete sapere i segreti del Duce? Leggete il suo cameriere... - È nell’ordine delle cose che un personaggio storico, protagonista di una stagione di stra­ordinaria lacerazione degli animi e dei senti­menti di un Paese, lasci di sé una memoria contrastata e, al fondo, divisiva

Volete sapere i segreti del Duce? Leggete il suo cameriere... - È nell’ordine delle cose che un personaggio storico, protagonista di una stagione di stra­ordinaria lacerazione degli animi e dei senti­menti di un Paese, lasci di sé una memoria contrastata e, al fondo, divisiva. Soprattutto quando la sua liquidazione diventa, come è stato nel caso dell’Italia, l’evento-mito che viene assunto a fondamento le­gittimante del nuovo ordine. Me­no normale è che, accanto alle con­troversie relative al giudizio etico­politico sulla figura del personag­gio, restino controverse molte pagi­ne, anche cruciali, della sua vita e della sua figura di uomo e di politi­co. A distanza ormai di 65 anni dal­la su­a fine siamo ancora qui a inter­rogarci addirittura su chi (e, an­che, come e quando) eseguì la sen­t­enza di morte su Mus­solini. L’enigma, il so­spetto, la rivelazione­scoop sono ingredien­ti stabili di ogni vicen­da bio­grafica che assu­ma agli occhi dei poste­ri il sapore del dram­ma il cui dispiegarsi e, soprattutto il cui fina­le, non sono mai stati del tutto accettati nei termini conosciuti. La domanda di una diversa «verità» ha ali­mentato nel tempo a carico di Mussolini una ricca letteratura, fatta di testimonianze, di memoriali, di diari ­ veri, presunti o falsi che siano - che hanno accompagnato e con­dizionato la memoria che gli italiani hanno via via elaborato del loro dittatore. Si capisce come un editore (Leo Longanesi)ansioso nell’immedia­to dopoguerra di rilanciare la sua attività, e un giornalista (Indro Montanelli) in servizio permanen­t­e effettivo sul fronte della lotta alla retorica del politicamente corret­to, si siano gettati a capo fitto sul­l’impresa di rivelare il duce segreto e inedito, non appena vennero a conoscenza pochi mesi dopo il 25 aprile che un intimo di Mussolini era in grado di far conoscere agli ita­liani gli aspetti più reconditi della vita del dittatore. Si trattava di Quinto Navarra, che aveva servito Mussolini per l’intero Ventennio, dal 1922 al 1945. Nella sua qualità di fatto di capo dei commessi, era stato lui a smistare le frequentazio­ni di Palazzo Venezia in tutti quegli anni: si trattasse di potenti, mini­stri o gerarchi, come di semplici questuanti e soprattutto di quella pletora di amanti fuggevoli di cui era popolata la vita del dittatore. I Nostri Due faticarono non po­co a convincere il cameriere del Duce a comunicare loro le sue con­fidenze. Era forte la ritrosia del fede­le servitore a scoprire il lato meno eroico e gladiatorio dell’uomo che aveva dato in pasto ai suoi sudditi l’immagine artefatta dell’inteme­r­ato condottiero fondatore dell’Im­pero. Era anche viva in lui la paura di esporsi in pubblico in tempi in cui non si era conclusa la caccia al fascista. Ma alla fine l’impresa an­dò i­n porto e Montanelli potè forni­re veste letteraria e forma compiu­ta al racconto, plausibilmente im­pressionistico e lacunoso, del «ca­meriere del Duce ». Il libro, col tito­lo Memorie del cameriere di Musso­lini e a firma Navarra, fu pronta­mente nelle librerie: meno di un anno dopo la liquidazione del fa­scismo. Le comprensibili aspettative di un sicuro colpo editoriale furono presto deluse. Montanelli se ne fe­ce una ragione addebitando «il mezzo fiasco»all’eccessiva tempe­stività della loro iniziativa. «Un edi­tore - commenterà amareggiato nel 1983 nella prefazione alla se­conda edizione del volume- dove­va, sì, precedere i tempi, ma non di decenni». I tempi, a ridosso della fine della guerra, non erano evi­dentemente maturi. Gli italiani avevano troppa fretta di lasciarsi al­le spalle lutti, dolori e sacrifici patiti nei cinque lunghi anni precedenti, ancor più desideravano stendere un pietoso velo sui loro ancor fre­schi, compromettenti amori col fa­s­cismo perché potessero sopporta­re di tenere aperta una ferita tanto bruciante. Non è che animasse quelle confi­denze in diretta una qualsiasi vena revisionista, offensiva del domi­nante spirito antifascista. Ma la semplice proposta di un Duce in qualche modo «dal volto umano», colto dal vivo con i suoi vizi, le sue debolezze, le sue quotidiane abitu­dini di «uomo qualunque»,insom­ma di «dittatore in pantofole», rap­presentava comunque una forma di demistificazione dell’immagi­ne del Tiranno Guerra­fondaio sul­le cui spalle i suoi concittadini sca­ricavano volentieri l’intera respon­sabilità della catastrofe vissuta. Per quanto sapientemente gio­cata in punta di penna, a dire il ve­ro, non era mancata nella condu­zione­del racconto da parte di Mon­tanelli qualche annotazione, appa­rentemente ai margini, e invece as­sai ben calibrata, al fine ora di ripu­li­re la faccia del dittatore dal suo so­lito piglio truce, ora di far risaltare un suo tratto meno arcigno e sini­stro. Così, ad esempio, Navarra ci restituisce un Mussolini «terribil­mente depresso durante il delitto Matteotti»,il capo del governo sup­posto mandante dell’uccisione del leader socialista che inoltre ri­ceve «la dolorante vedova»a Palaz­zo Chigi e la commiata alla fine di un lungo colloquio sorreggendole il braccio, «chinato con muto dolo­re verso di lei ».In un altro passo Na­va­rra ricorda l’occasione in cui il ca­po del fascismo lo aveva invitato a leggere una biografia di Stalin per sincerarsi chi fosse davvero tra lui e il segretario del Pcus il vero ditta­tore. «Se gli italiani provassero un mese di governo di Sta­lin - avrebbe sbottato Mussolini - farebbero un vitalizio con Musso­lini ». E ancora: il devo­to servitore accorre nel ’43 sulle sponde del lago di Garda, nel­la «capitale di un gran­ducato da operette», e ci offre un’immagine patetica, quasi com­movente di colui che era stato il Duce e che ora accetta («lui che non aveva ricevuto un ordine da alcuno in vent’anni»)di trasmet­tere ai suoi ministri «gli ordini ricevuti dal capitano tedesco». Nel complesso, il Mussolini che emerge dalle confidenze di Na­varra è il figlio del po­polo che scala le vette del Potere e che, da ultimo, finisce travolto da un mondo più grande di lui, quasi ne fosse vittima e non responsabi­le. Un figlio del popolo con gusti, vezzi, abitudini, vizi e ambizioni di un uomo al fondo generoso anche nei suoi errori. Evidentemente, era l’unico Duce che poteva uscire dal­la penna di chi fedelmente gli era stato vicino per una vita, riuscen­do a stringere con lui un rapporto di tale confidenza da poter essere trattato come un «amico» da chi era stato l’uomo più potente d’Ita­lia. Ma anche l’unico Duce che sta­va a cuore a Montanelli restituire agli italiani per condurre, anche se in sordina, quella stessa battaglia anti-antifascista che stava in que­gli stessi anni sviluppando il suo amico Giovannino Guareschi sul Candido . Sotto tiro di entrambi era la retorica dei vincitori, accusati di vantarsi per aver sconfitto «la ditta­tura di un partito » quando stavano instaurando «il regime dei partiti di massa»: queste «vecchie mum­mie della politica» - come li chia­mava Guareschi - che «pettegola­no di politica al sud, mentre al nord i giovani avvelenati di politi­ca si scannano al piano e al mon­te ».