Roberto De Ponti, Corriere della Sera 28/02/2011, 28 febbraio 2011
LARRY BIRD
Larry Bird, lei era il basket?
«Io, come Magic Johnson, come altri giocatori, ho fatto qualcosa per questo sport. Sì, posso dire che noi eravamo il basket» .
Lei si è ritirato 19 anni fa. Come definirebbe Larry Bird per spiegare chi è a un ragazzino che non l’ha mai vista giocare?
«Un professionista che lavorava sodo e cercava ogni giorno di dare il meglio di sé» .
Chi è Magic Johnson?
«Un campione e un amico. Non necessariamente in quest’ordine» .
Lei sarebbe diventato il campione che è stato se non avesse avuto come avversarioMagic?
«Ho lavorato duro per dare il meglio di me stesso, ma dovermi confrontare con un asso come Magic mi ha spronato ancora di più. Sono sempre stato molto motivato, ma sapere che Magic lo era allo stesso modo ha fatto sì che mi impegnassi sempre al massimo» .
È vero che entrambi al termine di ogni partita andavate a guardare le statistiche dell’altro per vedere se aveva fatto meglio?
«Verissimo. Lo facevamo tutti e due, ma la cosa divertente è che nessuno di noi l’ha mai ammesso fino a quando non abbiamo smesso di giocare. Insomma siamo rimasti grandi rivali fino alla fine» .
Che cosa invidiava a Magic?
«Il carisma. Gli bastava entrare in una stanza, sorridere a tutti, e li aveva tutti nel palmo della mano» .
La vostra è stata una rivalità tra le più famose dello sport.
«Giocavamo allo stesso livello, e ognuno di noi sapeva che l’altro avrebbe cercato di fare meglio in ogni singola partita, stagione dopo stagione. Sapevamo già che saremmo stati legati l’uno all’altro. Lo siamo sempre stati, lo siamo ancora e lo saremo sempre» .
Lei ha detto che il basket oggi è cambiato rispetto ai suoi tempi. Come?
«Beh, ai miei tempi si giocava con l’idea di squadra, cioè nel modo in cui lo sport stesso è stato concepito. Successivamente il gioco individuale è stato più enfatizzato, il che, se per i tifosi era più entusiasmante, ha cambiato il modo di giocare. Oggi però mi pare che il gioco di squadra stia tornando di moda: buon segno...» .
Dicono che ai vostri tempi i giocatori fossero più genuini...
«Eravamo diversi. Un esempio: mentre oggi le trasferte sono quasi sempre su aerei privati, noi viaggiavamo su normali voli di linea, il che voleva dire molto più tempo insieme con i compagni di squadra. E questo si rifletteva anche in campo» .
E com’è cambiata l’America rispetto a quei tempi?
«Mi piace pensare che continuiamo a evolverci, come società. Il nostro sport è diventato più internazionale, e accoglie atleti provenienti da ogni parte del mondo. Vorrei poter dire che lo stesso vale per l’America» .
Come valuta l’elezione di Barack Obama?
«Sono un sostenitore del presidente Obama, e sento che ha saputo offrire una valida leadership in un periodo molto importante per il nostro Paese. Spero che continui a farlo» .
I tempi sono cambiati, ma all’epoca lei giocava in una squadra di bianchi, mentre i vostri grandi rivali, i Los Angeles Lakers, erano quasi tutti di colore. E questo accentuò la rivalità. A distanza di anni, rivede quelle sfide con occhi diversi?
«Io e Magic non abbiamo mai guardato al colore della pelle. Era come se fossimo daltonici, e lo saremo sempre, sia reciprocamente che nei confronti di chiunque altro al mondo» .
Si è mai immaginato con una maglia diversa da quella dei Celtics?
«Mi ritengo molto fortunato per aver potuto giocare a Boston per tutta la mia carriera. La gente di questa città mi ha sempre trattato benissimo, e io sarò loro sempre grato. Non ho idea di come sarebbe stato se avessi giocato anche in altre squadre» .
Erano più forti i suoi Celtics dei Big Three, Bird, Parish e McHale, o il Dream Team di Barcellona ’ 92?
«Non c’è alcun dubbio sul fatto che nel Dream Team del ’ 92 fosse presente il massimo del talento del mondo. Però posso dire che i Celtics del 1986 sono stati una delle migliori squadre di ogni tempo nella Nba. Una vera gioia, giocarci...» .
Lei con una sola parola ha cambiato la storia di una finale per il titolo.
«Si riferisce a ‘‘sissies’’, immagino...» .
Esatto. Quando dopo la sconfitta di 33 punti in gara 3 nelle finali dell’ 84 con i Lakers diede delle «femminucce» ai suoi compagni, già sapeva come sarebbe finita?
«Non lo sapevo, ma lo speravo. Capivo che la squadra aveva bisogno di una scossa, e per mia fortuna ha reagito bene alla mia provocazione; si sono comportati in modo eccezionale!» .
Lei ha deciso molte partite all’ultimo tiro.
«Non mi ha mai spaventato prendermi tiri importanti, anzi» .
Che sensazione si prova quando la palla esce dalle mani, la sirena suona e il tiro finisce nel canestro avversario regalando la vittoria alla propria squadra?
«Quello accade in quel preciso istante è strettamente legato a quanto ti sei esercitato prima. Lavorare a fondo e poi riuscire nell’impresa dà una sensazione davvero esaltante. Te la godi per un minuto, poi ti prepari subito alla partita successiva» .
Lei era uno specialista del «trash talking» , delle provocazioni verbali. Era un’arma psicologica, oppure la divertiva prendersi dei vantaggi sugli avversari?
«Niente di tutto questo. Dato che sono cresciuto giocando contro i miei fratelli maggiori, spesso ci prendevamo in giro, quindi sfottere gli altri durante il gioco mi veniva naturale. Non l’ho mai considerata come una strategia» .
Una sola parola per definirsi.
«Competitivo» .
Che cosa significa per lei essere competitivo?
«Significa restare concentrato sull’obiettivo finale, cioè la vittoria, a prescindere da quello che sto facendo, che sia giocare a tennis con mia moglie— che tra l’altro è molto, molto brava— oppure a un gioco da tavolo con i miei figli, o ancora sul campo da golf con gli amici. Quello che voglio è concentrarmi per fare del mio meglio» .
I suoi figli le chiedono mai di come fosse «essere Larry Bird il campione» ?
«Per i miei figli sono semplicemente ‘‘papà’’. Non tengo trofei e riconoscimenti in giro per casa, non l’ho mai fatto. Abbiamo sempre vissuto come una famiglia normale» .
Ha mai pensato che, con qualche tuffo in meno a caccia di palle vaganti, forse avrebbe potuto prolungare la sua carriera di qualche stagione?
«Sì, è probabile che il mio fisico avrebbe retto più a lungo se non mi fossi sempre buttato a recuperare quelle palle, o se non avessi sbattuto così tante volte sul pavimento, ma in realtà non sarei mai stato capace di giocare in modo diverso. Non avrei saputo come fare, semplicemente...» .
Ha mai visto giocare Danilo Gallinari?
«Certo» .
Ha carattere, è bianco, tira da 3 punti e a 21 anni è già stato operato alla schiena... Un po’ come lei.
«Considero Danilo un giocatore con tutte le carte in regola, uno che mi piacerebbe avere in squadra» .
Che consigli gli darebbe?
«Gli direi semplicemente di continuare ad allenarsi duro in ogni aspetto del gioco, sia durante la stagione che in off-season» .
Con il ritiro suo e di Magic, l’arte del passaggio è scomparsa?
«Non credo. Penso anzi che oggi se ne veda di nuovo parecchia» .
I vostri, di passaggi, erano però davvero spettacolari...
«Io credo soprattutto utili. Per me era il modo più divertente di giocare, perché coinvolge tutti e costringe la difesa avversaria a lavorare di più» .
In uno sport di squadra come il basket, quanto contano i record individuali?
«Credo che qualsiasi campione ami parlare dei campionati vinti, e non dei premi come miglior giocatore. Quando vinci con la tua squadra, non c’è niente che possa superare quella sensazione, nemmeno i successi personali» .
Se lei avesse avuto come compagno di squadra Bird, che cosa avrebbe pensato di lui?
«Che Larry Bird era un tipo che aveva sempre lavorato duro per dare il meglio di sé, e che si aspettava lo stesso dai suoi compagni» .
Come pensa che la vedano i giocatori di oggi?
«Io spero semplicemente che i giovani giocatori imparino da quelli che sono venuti prima di loro, ma è normale presumere di essere il migliore anzi, è parte di ciò che ci spinge a esserlo realmente, in ogni generazione» .
Il momento perfetto della sua carriera?
«Ogni volta che vinci un campionato, non puoi immaginare un momento migliore di quello. Il mio primo campionato Nba, sotto la guida del coach Bill Fitch, nel 1981, è stato davvero speciale. Fu il primo titolo anche per lui» .
E nella sua vita?
«Il giorno in cui ho sposato Dinah, e quando sono nati i miei figli» .
Se non fosse esistito il basket, che cosa avrebbe fatto?
«Forse il muratore» .
E la competitività che fine ha fatto?
«Avrei lavorato duro per essere il migliore dei muratori» .
Roberto De Ponti