Carlo Formenti, Corriere della Sera 28/02/2011, 28 febbraio 2011
LA «DISINFORMAZIA» AI TEMPI DEL WEB. IDENTITÀ MULTIPLE PER DEPISTARE
Internet, si dice, è un medium più democratico di quelli tradizionali perché non può essere usato come strumento di manipolazione dall’alto: le opinioni si formano liberamente attraverso un dibattito in cui tutti possono prendere la parola per confrontarsi «alla pari» . Ma le cose non vanno sempre così. Lo sa bene George Monbiot, blogger e firma del Guardian, impegnato in una crociata personale contro le pratiche di disinformazione messe in atto da governi e corporation per inquinare i dibattiti che si svolgono su forum, mailing list e social network fra cittadini, consumatori e utenti. La tecnica più in voga — usata, fra gli altri, dal governo cinese per attaccare i blogger dissidenti e dall’industria del tabacco per screditare le campagne contro i danni del fumo passivo — consiste nell’arruolare squadre di agenti provocatori per far degenerare in rissa le discussioni, spargere false informazioni, diffamare le persone e le istituzioni che si vogliono screditare, ecc.
Sembra tuttavia che queste strategie stiano per compiere un salto di qualità: un noto e prestigioso blog politico americano, il Daily Kos, scrive infatti di avere ottenuto da una «gola profonda» alcune mail (delle quali pubblica stralci) sottratte alla società HB Gary — che fornisce servizi a varie agenzie governative Usa, come la Cia e il ministero della Difesa — dalle quali si scopre che l’azienda in questione sarebbe dotata di software di «persona management» , cioè di programmi che consentirebbero a un soggetto impegnato in una campagna di disinformazione di assumere contemporaneamente fino a 70 identità (profili di social network, account in forum, ecc.) gestendole in parallelo; il tutto senza che si possa scoprire chi tira i fili di queste marionette virtuali. È normale, si dirà, la «disinformazia» è antica come il potere. Ma la rapidità con cui il potere ha saputo reinventarla nell’epoca di Internet suscita una certa rabbia: «bombardare» le masse dall’alto con false informazioni non è bello, ma infiltrarsi in un ambiente dove la gente credeva di poter finalmente mettere liberamente a confronto le proprie opinioni è molto più vile e disgustoso.