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 2011  febbraio 26 Sabato calendario

PARMALAT, I FONDI E LA CORDATA "AD INTERIM"

- MILANO - Tre indizi fanno quasi una prova. E la battaglia dei fondi per estromettere Enrico Bondi da Parmalat ha – almeno per ora – un tris di buone ragioni per prendere con le pinze le loro buone intenzioni "industriali" su Collecchio. Skagen, Zenit e Mackenzie Cundill ci tengono a non apparire come avvoltoi scesi in pista solo per mettere le mani sugli 1,4 miliardi custoditi nelle casse del gruppo. Soldi raccolti da Bondi grazie alle cause a banche e revisori negli ultimi sette anni. «Un lavoro eccellente – gli rendono l´onore delle armi i "ribelli – ma Parmalat deve voltare pagina». Il motivo? Bondi non ha fatto industria, dicono, né le acquisizioni promesse. Ergo, è l´ora di dare le redini a un nuovo management pronto a far crescere davvero l´azienda.
Si può credergli? Non è che cambiato il cda si troverà la maniera di svuotare le casse di Parmalat per poi ucciderla una seconda volta con lo spezzatino? Le promesse, certo, contano. I tre fondi sono gente seria. L´advisor Lazard garantisce per loro. Ma restano tre nodi da sciogliere. Primo: solo un anno fa David Tiley, numero uno di Mackenzie che con il 7,6% è primo socio in azienda, aveva detto a Bloomberg di «non essere interessato ad acquisizioni o fusioni ma di voler solo veder restituiti i soldi con dividendo straordinario o buy back». Secondo: un secondo dopo l´assemblea il patto dei tre fondi sarà sciolto. Chi garantirà continuità al cda? Terzo: dopo quattro mesi di lavoro non si è trovato di meglio che nominare in lista un amministratore delegato "ad interim", Massimo Rossi, degnissimo ex Swedish Match. Magari è un modo per proteggere le candidature di nomi forti impegnati per ora altrove. Ma lo stesso la cordata ad interim non fa un bel effetto.