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 2011  febbraio 26 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 77 - IL FIORETTO DI CARLO ALBERTO

Il re di Napoli non aveva ceduto un po’ troppo facilmente? Secondo Ruggero Moscati, diede la costituzione «per creare in tutta la penisola uno stato di anarchia, che gli concedesse poi di riprendere il proprio potere assoluto». Galasso aggiunge che probabilmente ebbe paura dell’isolamento interno e internazionale, peraltro fino a quel momento tenacemente perseguito. Ai nostri fini, interessa soprattutto questo: la notizia che Napoli aveva concesso la costituzione arrivò a Torino come una bomba. Perché se la costituzione la propone Cavour è un sorprendente sorpasso a sinistra, mentre se la promulga re Ferdinando è una fuga in avanti? Cavour predicava elezioni e Parlamento da quando era nato. Ferdinando, alla fine di una delle ultime sedute del Consiglio di Stato, aveva perso i sensi per il terrore, e c’erano volute due ore per rianimarlo. Un mese prima aveva risposto no a tutto con quest’argomento: che nel varco aperto da qualunque concessione si sarebbero infilati i radicali, da cui «totale rovescio di qualunque principio governativo e quindi comunismo completo» . In che modo, a Torino, era stata seguita la rivoluzione meridionale? Il corrispondente da Napoli non si trovava. Dalla Sicilia non arrivavano più navi. A un certo punto ancorò al largo di Genova il «Nettuno», che aveva a bordo l’ex capo della polizia napoletana Del Carretto. Chiedeva di attraccare e che gli si desse carbone. Un gruppetto, capeggiato da Nino Bixio, andò invece di notte a tagliargli gli ormeggi. I fatti del Sud avevano fatto abbassare la rendita piemontese di quasi due punti e mezzo. Appena si seppe che la costituzione sarebbe stata concessa, i titoli si ripresero: era bastato per far credere che non sarebbe scoppiata la guerra. De La Rive scrisse da Parigi: «In questo vostro liberalismo italiano, come in fondo in tutti i liberalismi, ci sono molti sentimenti irrazionali, bassezze e gelosie, del comunismo, dell’irreligiosità».

Carlo Alberto? Era fuori di sé. Non cederemo «pour tout le monde» . Non avremo paura di « combattre jusqu’à l’extrémité ». Intorno a lui, scetticismo generale. Come si poteva, a quel punto, non concedere la costituzione? Rischiamo la rivoluzione per strada, il bagno di sangue, e magari alla fine dovremo cedere lo stesso. Erano diventati costituzionalisti anche i codini, i quali puntavano a esser nominati senatori. La Tour presentò un progetto di costituzione astutamente concepito, che lasciava intatti tutti i privilegi dei nobili. Il conte Borelli, ministro dell’Interno, spiegò che se non si fosse data la Carta spontaneamente, se si fosse aspettato il tumulto di piazza, si sarebbe persa la faccia. Ferdinando aveva perso la faccia. Invece, là fuori, c’erano ancora le folle festanti, che gridavano «Viva Carlo Alberto», sicure che il loro re avrebbe fatto meglio di quello di Napoli (Costanza, in una lettera di quei giorni, aveva salutato il figlio così: «Stasera illuminazione generale. Abbiamo gridato “Viva!” per tutti i fratelli possibili. Ora t’abbraccio e ti incoraggio a gridare con noi “ viva l’Italia ” e, sempre, “ l’Italia farà da sé ” e “ Dio protegga l’Italia” e Pio IX ammette i laici nei ministeri, dunque “ viva Pio IX ”, non si parla che di armi, non ci si esercita che con le armi, “ viva la nostra faccia ”»). Cesare Alfieri, ormai cavouriano di ferro, sostenne che il parlamento avrebbe offerto uno spazio al confronto, permettendo di uscire da « cet état d’antagonisme che lacera ogni giorno di più la Monarchia, scuotendola dalle fondamenta». Ordine, forza, stabilità… C’erano però due problemi.

Quali? Nel ‘23 Carlo Alberto aveva giurato allo zio che non avrebbe mai più concesso una costituzione. Giurato davanti a Dio. Era escluso mancare a un fioretto, quindi non restava che abdicare e lasciare che se la vedesse Vittorio Emanuele. Venne convocato il figlio. Vittorio Emanuele chiese al padre se non fosse impazzito. Devono esserci state urla. Costanza scrisse che la scena era stata « très forte et très emouvante ».

Secondo problema? Il giorno 5 febbraio si dovevano riunire i decurioni, cioè i consiglieri comunali, per preparare un indirizzo al re. Tra i decurioni c’erano Sineo - valeriano - e Santa Rosa, che definire cavouriano è poco. Ci si preparava a replicare lo scontro dell’albergo Europa, Sineo perché si chiedesse la Guardia civica, Santa Rosa perché si desse subito, e francamente, la costituzione. Bisognava che vincesse Santa Rosa. Cavour lo convocò. Santa Rosa, quello che era stato col conte a Parigi e a Londra. Sì, nel ‘35. In quel viaggio Cavour aveva fatto camminare Santa Rosa a suon di scappellotti. Sa, quelle coppie di amici per la pelle in cui uno dei due è cattivo, grosso, mangione, entusiasta e un poco teppista? E l’altro invece buono, minuto, pallido, sognatore, patriota, credente? Beh, Cavour e Santa Rosa, spiccicati. Il conte gli fregava i soldi a carte, poi lo tirava dentro in qualunque impresa delle sue, magari per spillargli la miseria di mille lire. Povero Santa Rosa, sposato con quattro figli, e un poderetto nelle Mollie, vicino a Savigliano. In quel momento aveva già il cancro e non lo sapeva.