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 2011  febbraio 26 Sabato calendario

SERGE GAINSBOURG

Visse d’arte, amore e molte sigarette -
E dire che era un adolescente timido. Racconterà il primo amore, la modella Elisabeth Levitsky, che fu lei a dover prendere l’iniziativa. Poi «si è seduto accanto a me, ha appoggiato la chitarra e ha spento la luce. E, dato che quella notte abbiamo fatto l’amore sette volte di fila, non l’ha mai dimenticata».

A vent’anni dalla morte, la Francia ricorda Serge Gainsbourg, cantante, poeta, pittore, attore, regista, icona nazionale e anche (o soprattutto?) grande seduttore. Come sempre quando si tratta di celebrare le patrie glorie, i francesi fanno le cose in grande. La Universal pubblica un cofanettone di venti cd con 250 canzoni, di cui venti inedite o in versioni diverse da quelle ufficiali. Apre alla Galleria Charpentier di Parigi una mostra di suoi ritratti griffati, fra gli altri, William Klein o Helmut Newton. Radio e tv annunciano speciali, le librerie sono piene di biografie. Quanto al cinema, ha già provveduto con Gainsbourg, vie héroique di Joann Sfar, uscito a fine gennaio, dove il cantante ha la faccia di Eric Elmosnino.

In tutta questa effervescenza, però, non si capisce bene chi si commemori davvero, se l’artista o l’« homme à femmes». Ma forse la distinzione è superflua: Gainsbourg per tutta la vita cantò l’amore, anzi i suoi amori. Testimonianze, ricordi e interviste insistono su questa simbiosi fra arte e vita, dove non si sa dove inizi la creazione e finisca la biografia (e viceversa). Di certo, quest’uomo, classe ‘28, figlio di ebrei russi emigrati a Parigi per sfuggire ai comunisti e poi scampati ai nazisti, rappresenta la speranza (e l’invidia) di tutti i brutti anatroccoli del mondo. Sbeffeggiato per il suo aspetto poco invitante, la testa a cavolo, le orecchie a sventola, gli occhi a palla, affascinò molti dei cigni più belli dello star system. La prima moglie, Françoise Pancrazzi, figlia di un grande industriale e divorziata da un Galitzine, è una splendida bruna, eccessiva e teatrale, che gli rovina la vita a forza di scenate di gelosia e una volta prede l’aereo per Tokyo solo per schiaffeggiare una rivale.

Ma presto nel catalogo di Serge entra la preda più ambita: Brigitte Bardot. Sono solo tre mesi, ma di fuoco. La stessa BB, per una volta in libera uscita dal servizio permanente effettivo di vestale degli animali maltrattati, li rievoca commossa su Paris Match : «Si può riassumere tutto in una frase: un incontro senza un’ombra, senza una nuvola. Novanta giorni di amore folle. Era bello, puro. Tutto questo si chiama semplicemente felicità». Poi, «una notte, sotto le coperte fra le braccia di Serge, gli chiesi di scrivere per me la canzone d’amore più bella. Nel cuore della notte, si mise al piano». Nacque così Je t’aime... moi non plus , forse non la canzone più bella di sempre, di certo la più bella di Gainsbourg (beh, direte, facile trovare l’ispirazione se nel letto hai la Bardot del ‘67...). BB la incise, ma il disco uscì soltanto dopo molti anni, «perché mio marito Gunter Sachs minacciò di fare uno scandalo».

E così, nei ricordi di tutti, a sussurrare languide tenerezze a Serge c’è Jane Birkin. S’incontrano su un set nel ‘68 e non si piacciono: lei lo trova brutto, lui la prende in giro per il suo francese incerto. Finiscono ovviamente a letto, ma consumando solo alla terza sera perché le prime due Serge, che beve già come una spugna, si mette a russare. Quando incidono la loro versione supersexy di Je t’aime... moi non plus lo scandalo è enorme e il successo, di conseguenza, immenso. In Francia, il brano viene vietato. Invece avrebbero dovuto premiarlo perché è questa canzone a traghettare il mito appassito del fascino del «french lover» nell’evo postsessantottino degli amori veloci e del sesso facile. La Bardot l’ascolta per caso alla radio e ricorda: «Ho creduto di morire».

Con Jane, Gainsbourg starà dodici anni e farà una figlia, Charlotte. Due li aveva avuti da Françoise, un altro dall’ultimo amore-musa, Caroline von Paulus alias «Bambou», modella splendida ed eroinomane che è molto più giovane di lui e lo chiama «papa». Jane l’aveva mollato dicendo: «Ho molto amato Gainsbourg ma ho paura di Gainsbarre». Gainsbarre, l’altro Serge, alcolizzato, autodistruttivo, maledetto. Sempre alla ricerca dello scandalo. Come quando canta Je t’aime... moi non plus stavolta non con la madre ma con la figlia, per dare un nuovo brivido incestuoso alla canzone usurata dal successo. O quando va in tivù ad accendersi la sigaretta con un biglietto da 500 franchi. Del resto, aveva già provocato un putiferio con la sua Marsigliese reggae: i parà reduci dell’Algeria minacciarono di ucciderlo. Distrutto, anzi autodistruttosi, Gainsbourg muore il 2 marzo ‘91, amato da molte e rimpianto da tutti. Lo seppelliscono al cimitero di Montparnasse, come Baudelaire, mentre Catherine Deneuve legge il testo di una sua canzone, Fuire le bonheur de peur qu’il se sauve , «fuggire la felicità per paura che sopravviva».