MARIA CORBI, La Stampa 26/2/2011, 26 febbraio 2011
“Mi censurano le lettere d’amore con Guttuso” - Compie 80 anni. Ma farglieli raccontare a Marta Marzotto non è un’impresa facile
“Mi censurano le lettere d’amore con Guttuso” - Compie 80 anni. Ma farglieli raccontare a Marta Marzotto non è un’impresa facile. Perché il filo dei ricordi si snoda esattamente alla sua maniera: imprevedibile. Come se gli anni non avessero una successione temporale ma solo emotiva. Un disordine ordinato che travolge chi si siede ad ascoltarla e a chiederle di una vita che, nel bene e nel male, tra critiche e ammirazione, è stata testimone di vizi e virtù del potere di due Repubbliche (il 10 marzo a Milano una mostra voluta da Letizia Moratti la celebrerà). «Non mi piace la definizione “seconda Repubblica”. Non c’è differenza con la prima, è solo continuità». Guai a chiederle del suo salotto. «Oddio, ma dobbiamo proprio parlarne?», domanda mentre nella suite Tolstoj dell’Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo finisce di organizzare la festa della sera (ieri, ndr). Sul letto c’è il quotidiano «Il Fatto», con in prima pagina lo scoop fatto da sua nipote Beatrice Borromeo su Vittorio Emanuele di Savoia che in un video confessa di aver ucciso Dirk Hamer. «E’ una ragazza eccezionale», dice. Ma anche questo è un argomento che non accetta di toccare. C’è da scoraggiarsi. Anche perché è difficile, per esempio, non chiederle di Gheddafi e della Libia, Paese dove lei è di casa. Invitata al matrimonio della figlia Aisha e alle celebrazioni dei 40 anni del potere del leader libico. «Sono sconvolta da quello che sta succedendo, ma non sono all’altezza di dare un giudizio su quello che sta accadendo in Libia, oltre all’incondizionata, senza se e senza ma, condanna del massacro di gente innocente». Accanto a lei ci sono le bozze del libro sulla sua vita che sta scrivendo insieme alla scrittrice e giornalista Laura Laurenzi. Doveva uscire proprio in questi giorni, ma l’opposizione di Fabio Carapezza alla pubblicazione delle lettere d’amore scritte da Renato Guttuso, ha bloccato la pubblicazione. Marta non si dà pace. Sullo sfondo l’antica questione sulla morte del pittore, con l’adozione all’ultimo minuto di Carapezza e il divieto alla Marzotto di poterlo vedere negli ultimi tre mesi. «Farò riaprire il caso», assicura. Queste lettere che l’erede di Guttuso non vuole che lei pubblichi cosa contengono? «Sono lettere d’amore, di passione, di gelosia, che raccontano la nostra storia. Sono state scritte a me, le ho io, ma sembra che comunque appartengano ai suoi eredi. Ma vorrei proprio capire perché il signor Carapezza non vuole che vengano pubblicate. Di cosa ha paura? Mi raccontava i suoi sogni, ma anche i pensieri su di me che faceva da insonne. Mi diceva che ero il suo miele, il suo sangue, il suo respiro, il suo amore. E io mi sono dissetata di questo. Lui mi raffigurava nei quadri e a volte lo faceva senza che ci fosse la mia figura, come nella “Notte di Gibellina”, dipinto ispirato dal terremoto del Belice, dove tra le fiamme del fuoco ci sono le lettere del mio nome». Diciamo che tra di voi non scorre certo buon sangue. «Ma vi rendete conto che non mi hanno permesso di stringere la mano a Renato mentre stava morendo come gli avevo promesso? Tutto per farlo morire come un santo, lui che non era mai entrato in chiesa. Chiesa e partito comunista che hanno celebrato il compromesso storico sulle sue spoglie». Con Guttuso parlavate solo di amore, o le raccontava la politica di quegli anni? «Di questo parlerò nel libro che sta per uscire. Chiamava Andreotti “il grande gobbo”, mi disse che lo voleva far passare alla Dc. Ma fallì. Renato mi ripeteva sempre: “Andreotti è l’uomo più intelligente e più cinico che esista al mondo”». Parlando di politici e di amore, cosa pensa se le faccio il nome di Lucio Magri? «La mia buccia di banana. Coltissimo, bellissimo, con una rabbia dentro, come se colpevolizzasse la società di non essere stato accanto a Che Guevara nella rivoluzione. Però a tavola pretendeva salsa di menta e purea di mele. Insomma un rivoluzionario da salotto». A proposito di salotti... «Non ricominciamo per cortesia con la storia della regina dei salotti, c’è sempre un pregiudizio in questa definizione, come se la logica appendice fosse “mondani”. Nella mia casa c’erano artisti, scrittori, intellettuali, gente di cinema. Anche qui a Cortina. Anche Quasimodo. Le racconto?». Certo. «A Cortina Quasimodo si confidò con me, sull’amore ma anche sulle liti con Montale. Aveva una brutta voce, ma quando lesse la lettera alla madre mi sono commossa. L’ho anche trascinato al King’s». In discoteca? «Sì, c’era anche Milena Milani. Era sempre infelice ma la nostra vitalità lo aveva contagiato e sulla pista ci invitò a ballare». Forse la descrizione di Marta Marzotto più vera l’ha fatta il figlio Matteo: «Continua a divorare di gusto l’esistenza (e a volte nelle sue fauci finisco anche io)».