Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 25/02/2011, 25 febbraio 2011
PROFUGHI, ITALIA AVANTI DA SOLA. SI’ AI CENTRI SENZA VIGILANZA —
Strutture senza vigilanza con la possibilità per gli stranieri di allontanarsi dai centri di accoglienza. Al termine della riunione europea che marca la solitudine dell’Italia di fronte a un prevedibile arrivo di migliaia di profughi dalla Libia, la linea appare tracciata. Il ministro Roberto Maroni sapeva che l’Unione Europea avrebbe preso tempo, ma forse non si aspettava una presa di distanza così forte. Invece, al termine di una giornata spesa a tessere relazioni per cercare alleati, il titolare del Viminale deve prendere atto che non ci sarà un fronte comune. Anzi. E dunque è prevedibile che non sarà fermato chi, dopo essere approdato a Lampedusa o in altri porti del nostro Paese, manifesterà l’intenzione di andare altrove. Per coloro che hanno precedenti penali o comunque sono ritenuti pericolosi, scatterà la procedura di permanenza coatta nei Centri di identificazione e di espulsione in vista di un eventuale rimpatrio. Gli altri avranno invece libera circolazione, così come prevede la procedura per chi presenta richiesta di asilo. La relazione che il titolare del Viminale illustra ai suoi colleghi di Interni e Giustizia riuniti a Bruxelles tocca i punti più critici dell’emergenza umanitaria legata alla guerra civile in Libia e alle altre rivolte nelle aree del Maghreb. Ma non basta a convincerli. Maroni l’aveva anticipata durante un colloquio con il presidente Giorgio Napolitano, a sua volta in procinto di partire per Berlino. «Un intervento autorevole nei confronti della Ue— aveva sostenuto il ministro — potrebbe aiutare» . Ieri mattina in un’intervista pubblicata sul quotidiano tedesco Die Welt il capo dello Stato aveva effettivamente evidenziato come «negli anni passati, l’Europa sia stata un po’ disattenta nei confronti degli sviluppi nel Nordafrica» , chiedendo poi «una politica mediterranea comune» perché «solo se noi europei parliamo con una sola voce peseremo nella politica globale, altrimenti rischiamo di scivolare ai margini» . Sullo stesso tasto ha battuto Maroni prima di fornire il «punto della situazione» aggiornato. È stato l’ambasciatore italiano a Tripoli a comunicare la minaccia esplicita del ministro degli Esteri del regime di Gheddafi Khaled Kaaim all’Italia e agli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo su «misure ritorsive in materia di immigrazione che metteremo in atto se i vostri governi sposeranno la linea dura già anticipata in sede di Unione Europea» . Una posizione estrema che preoccupa gli apparati di sicurezza, soprattutto tenendo conto che— secondo i dati delle organizzazioni umanitarie aggiornati allo scorso luglio — nei centri di smistamento libici ci sono almeno 15.000 cittadini extracomunitari e che appena una settimana fa sono stati scarcerati «500 detenuti dal carcere di Tajura, mentre il 16 febbraio erano stati rilasciate 110 persone appartenenti al Gruppo Islamico Combattente Libico» . Di fronte ai colleghi europei Maroni ha sottolineato come «ai tradizionali flussi di immigrati potrebbe aggiungersi una consistente quota di cittadini libici determinati a lasciare il proprio Paese per motivi politici e umanitari, non solo per esigenze economiche» . Da giorni sono stati sospesi i controlli congiunti della Guardia di Finanza con la polizia locale che erano previsti dal contestato Trattato di Amicizia firmato tra Italia e Libia nel 2008. Ieri mattina i «comitati popolari» libici hanno annunciato di aver preso il controllo di Zwara, la cittadina sulla costa che è sempre stato il punto di partenza degli scafisti diretti a Lampedusa. Il timore forte è che siano pronti a ricominciare appena le condizioni del mare — che in queste ore continua ad essere in burrasca — torneranno serene. E adesso l’Italia è costretta ad attrezzarsi come può per accoglierli, cercando di reperire il maggior numero di posti disponibili visto che le strutture governative hanno una capienza di poco superiore alle 6.000 unità e sono quasi piene dopo l’arrivo dei tunisini scappati dopo la caduta del presidente Ben Alì.
Fiorenza Sarzanini