Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera 26/02/2011, 26 febbraio 2011
UN KIT AL POSTO DELLO CHEF
Dialogo tipico, circa 2011, tra amici appassionati di cibo e vino. «Vogliamo provare quel nuovo ristorante?» . La risposta è quasi sempre «Noo, c’è stato C. e dice che è un posto fighetto, più da happy hour che da cena, e pure caro» . Oppure: «Per carità, è lussuosissimo ma non c’è mai nessuno, è chiaramente un riciclaggio» . Scartando happy hour e riciclaggi, gli amici finiscono sempre negli stessi tre-quattro posti. Che comprendono: una trattoria a cui sono affezionati, un locale più recente con ambiente amichevole e cucina curata (dove ogni volta si esce dicendo: «Non mi fregano più, due antipasti e due bicchieri e mi hanno pelato» , e poi si torna), un posto tradizional innovativo spesso monotematico (a Firenze hamburger di chianina, a Napoli pizza, per dire); e casa propria. Dove si investe a turno in materiali gourmet e buon vino, e si spende meno.
C’è la crisi, e le avventure enogastronomiche onerose sono rare. Anche per i foodies, i patiti di cucina e vino. Adesso, scrive un lettore del blog Il Papero Giallo, «se ho sessanta euro da spendere preferisco comprarmi un lonzino di cinta di Paolo Parisi, un salame dei Savigni, due formaggi, un Nero d’Avola o un Amarone» . Lui e molti altri foodies si sono fatti— a caro prezzo — una cultura; e la mettono a frutto scegliendo i prodotti migliori e scovando i migliori rapporti qualità-prezzo.
Elabora Stefano Bonilli, autore del Papero e fondatore del Gambero Rosso, tuttora convinto che «noi in Italia siamo per la gastronomia quel che è stata New Orleans per il jazz» : «Il cambiamento te lo dimostra Ferran Adrià, che chiude il suo ristorante El Bulli, fa una fondazione (dove creare nuovi piatti, ndr), e apre una nuova era per le tapas col negozio di Barcellona. A Londra Heston Blumenthal (del pluriblasonato Fat Duck, ndr) apre un ristorante da duecentocinquanta coperti con cucina tradizionale inglese. A Roma Felice (simpatica trattoria di Testaccio dove ti trattano malissimo, ndr) e Roscioli (osteria-salumeria dietro Campo de’ Fiori sulla quale sia Bonilli sia l’autrice di questo articolo hanno un serio conflitto d’interesse, ndr) sono sempre pieni. Chi si avventura sui cento euro e oltre o è Heinz Beck o sta morendo» .
A Roma bisogna essere Heinz Beck della Pergola. In Emilia, alla Francescana di Modena, Massimo Bottura, fresco vincitore del Grand Prix de l’Art de la Cuisine. In Lombardia Nadia Santini del Pescatore di Canneto sull’Oglio, in Campania Gennaro Esposito della Torre del Saracino. «Sono la nostra Formula Uno, 15-20 grandi che sono l’élite della ristorazione» , continua Bonilli. Poi c’è la fascia media; poi c’è l’avanguardia, che a volte non serve ai tavoli e non cuoce neanche le pietanze. Capita al Tricolore, take away con scuola di cucina appena aperto a Roma, nel rione Monti, dove tre ragazze vendono panini e kit da asporto con ingredienti e istruzioni per la cottura. In rioni meno avanzati si rischia di più, sperimentando ricette prese dai blog.
E si rischia sperimentando sul vino. Abbandonate le bottiglie troppo care, maltrattati (ormai fin troppo) i vini in barrique, si assaggiano Pinot neri (anche prodotti troppo a sud), Etna rossi, Lagrein, Barbere d’Asti e del Monferrato. «Si bevono rossi piacevoli. Si guardano male quelli che sdottorano di sentori di bacche rosse e mele renette» , dice Maria Sole Pantanella, sommelier del ristorante 25 a Roma. «È cambiata la moda anche per i bianchi. Gli avvocati che indossano colletti enormi e vogliono darsi un tono non bevono più Ribolla perché andava l’anno scorso, vanno di Vermentino, cercano i bianchi locali» . Ma soprattutto, avvocati e altri appassionati cercano sempre più spesso vini biologici. Perché «l’idea di comprare qualcosa di buono e sano è ormai la principale motivazione a spendere di più» , spiega Carla Latini, che produce l’omonima pasta nelle Marche e ha appena commissionato una ricerca sui prodotti del futuro. «Ci hanno detto: la vostra pasta che andrà meglio è quella integrale, quella di farro. Quella per cui la gente è disposta a spendere di più anche se ha meno soldi. Ma tuttora noi non vediamo crisi: si cucina di più a casa e lì ci si tratta bene. Va benissimo la pasta all’uovo, anche» . Che è affettuosa, conforta anche i buongustai, o foodies, o come si chiamano.
Maria Laura Rodotà