Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 26/02/2011, 26 febbraio 2011
L’INTERMINABILE ADDIO DEL MINISTRO BONDI
«Il ministro?» . «Non c’è, ripassi» . Sono mesi che Sandro Bondi non si fa vedere al ministero. Passò a fare gli auguri di Natale, poi addio. Lo raccontano deluso. Amareggiato. Incatenato al ruolo come un forzato ai banchi d’una galea. Roso dall’attesa snervante che Berlusconi gli consenta di passare la mano. Ma può permettersi, un Paese come il nostro, di avere un ministro dei Beni Culturali che sta lì ormai controvoglia? Per remare, Bondi rema. Anche ieri, per dire, ha invitato Nichi Vendola a schierarsi contro le intercettazioni, accusato Gianfranco Fini di antiberlusconismo viscerale, rassicurato sul crollo di un muro davanti alla chiesa romana di Santa Balbina. Ma lo fa sentendosi in sospeso. Gonfio di rancore verso quegli oppositori che gli hanno buttato addosso l’accusa di essere responsabile del crollo della Schola Armaturarum di Pompei e del successivo crollo di un muretto di sostegno e di tutti i crolli che via via si sono accumulati in questi mesi segnalando il degrado del nostro patrimonio culturale. Tutta colpa sua? Per niente. Basta ricostruire la storia del ministero nato solo nel 1974 e solo per accontentare un peso massimo come Giovanni Spadolini, basta vedere «chi» è finito su quella scrivania che un tempo era nel salone del Gran Consiglio fascista e come la poltrona sia stata per decenni smistata come consolazione a chi era stato escluso da cariche più pesanti, per capire che il coordinatore del Pdl ha buone ragioni per rifiutare, su queste accuse, la parte del capro espiatorio. «Non mi dimetto» , ha detto prima di uscire vincitore dal voto, «e non merito la mozione di sfiducia individuale. Sono un ministro sotto accusa per il crollo di un tetto in cemento armato costruito negli Anni 50, ma nessuno si ricorda dei "no"che ho detto per fermare scempi e abusi come il Pincio» . Una rivendicazione d’orgoglio accompagnata dalla confessione di non poterne più: «Mettere a disposizione il mio ruolo a favore di un rafforzamento o comunque di un ricambio del governo sarebbe per me un sollievo per adempiere al meglio alla mia vocazione politica e intellettuale» . Un sollievo. Che gli ultimi mesi siano stati duri, per l’uomo cui è stato affidato il maggior patrimonio culturale del mondo, è indubbio. Come è indubbio che lui stesso sia andato a cercarsi un po’ di grane con scelte discutibili. Come l’annuncio del riconoscimento speciale alla mostra del cinema di Venezia a «Goodbye Mama» , il film di Dragomira Boneva, in arte Michelle Bonev, fino a quel momento nota solo per essere amica del Cavaliere e come tale premiata da un sottosegretario e due ministri tra i quali Giancarlo Galan: «Berlusconi mi ha dato un incarico preciso: salutare con calore e affetto Michelle Bonev» . Oppure l’assunzione (a termine) al ministero del figlio della compagna, la deputata Manuela Repetti. E poi la consulenza («Non ho fatto che aiutare una persona che si trovava in una drammatica difficoltà» ) all’ex marito di lei. Per non dire delle polemiche intorno al contratto al consolato italiano di New York felicemente ottenuto dalla ex moglie Maria Gabriella Podestà. La quale, spiegando qual era il suo incarico («Mi occupo della promozione della nostra cultura» ) ha raccontato a Oggi: «Può essere che il mio ex marito avesse interesse a spedirmi di nuovo in America. In fondo, il mio contratto a New York gli ha portato solo vantaggi: è arrivato proprio nel momento in cui c’erano da definire gli alimenti. E infatti (...) oggi lui chiede la riduzione del mantenimento di F. proprio in virtù del mio nuovo reddito» . Reati? No, forse. Ma in un altro paese sarebbe stato fatto a fettine. A prescindere dai crolli di Pompei. A prescindere dai tagli alla cultura che oggi (anche per colpa della sinistra: ha ragione Bondi quando ricorda che fu il secondo governo Prodi a stabilire che i proventi dei biglietti d’ingresso ai musei e alle aree archeologiche fossero assegnati al Tesoro per poi essere riassegnati alla cultura ma nella misura massima del 50%) riceve meno della metà di quanto riceveva 10 anni fa. A prescindere dal rifacimento del Teatro di Pompei, i cui gradini erosi dal tempo sono stati ricostruiti con un’agghiacciante base di calcestruzzo e la posa di mattoni di tufo marroncini. Una decisione contestatissima, da villaggio balneare, irrimediabile e imputata al commissario straordinario (lo stesso che ha speso 103 mila euro per il censimento di 55 cani randagi) quindi direttamente al ministro. Fatto sta che Sandro Bondi, un po’ vittima dei pregiudizi altrui, un po’ di se stesso, non ne può più di restare lì. E fa di tutto, come dimostra l’archivio dell’Ansa, per occuparsi di altro. O meglio, dell’unica sua vera passione, insieme con la poesia: la politica. Ed eccolo attaccare Umberto Eco per la «faziosità delirante» . Denunciare come «disgustose» le parole di Anna Finocchiaro. Elogiare il figliol prodigo Luca Barbareschi. Bollare i vertici dell’opposizione come «modestissimi» . Liquidare il Times come «ingiurioso e volgare» . E via così... E il ministero? E i Beni culturali? Dicono abbia già preparato gli scatoloni con la sua roba. E che sospiri nell’attesa quotidiana di questo benedetto rimpasto che per amore di Berlusconi non si sogna di invocare ma che vivrebbe come una scarcerazione. Il Cavaliere vuole fargli un regalo? Rompa le catene del suo fedele poeta. Lo lasci volare come gli piace. E ci guadagnerà anche un patrimonio come quello culturale italiano. Che merita di più di un ministro intristito a mezzo servizio.
Gian Antonio Stella