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 2011  febbraio 26 Sabato calendario

I PIANI DI AZIONE: BLOCCO NAVALE E CORRIDOI DI TERRA

Muammar Gheddafi, diventato ormai il sindaco di Tripoli, non cede e fa sparare sulla folla. «Cane pazzo» è convinto di poter resistere ad oltranza. Forse serve un’ultima spallata e un segnale politico da parte della comunità internazionale. Ecco allora un pacchetto di sanzioni (anche se hanno effetti ridotti) e, soprattutto, la creazione di una no-fly zone. Una misura per impedire che il dittatore usi aerei ed elicotteri contro i dimostranti. Sempre che gli ultimi piloti siano disposti a seguirlo. In tanti lo hanno abbandonato. Esperti americani hanno formulato diversi scenari di intervento. Si tratta di piani comunque frenati dalla paura di essere coinvolti in una crisi imprevedibile. Nessuno ha voglia di infilarsi in una campagna libica. No-fly zone Se ne parla da giorni. Prevede che la comunità ripeta quanto fatto in Iraq nel 1992 in modo da tenere a terra l’aviazione del raìs. Un piano che dovrebbe ruotare attorno alle basi di Sigonella (in Sicilia) e Creta (Grecia). Da queste piste decolleranno i caccia che impongono il blocco: una missione che prevede l’uso della forza. Prevedibile il ricorso alle portaerei. Il Pentagono ha la Sesta Flotta ma nei giorni scorsi ha lasciato capire che vorrebbe un ruolo leader di Francia e Italia. La nostra Marina ha già mobilitato due portaerei (Cavour e Garibaldi), due navi da sbarco e unità d’appoggio impegnate nello sgombero degli italiani. Per realizzare la «no-fly zone» sono fondamentali gli Awacs, radar volanti in grado di scoprire gli «intrusi» e coordinare la risposta, come gli aerei per il rifornimento in volo. Da Sigonella, poi, possono decollare i Global Hawk, giganteschi velivoli senza pilota vitali nella raccolta di informazioni. Rischi: i libici hanno missili anti aerei (vecchi) e caccia ritenuti superati. Gheddafi più che «offendere» deve difendersi. Le provocazioni, però, non sono da escludere. No-sail zone La comunità impone un blocco che impedisca alle navi del Colonnello di uscire in mare. In questa fase sono già molte le unità occidentali in zona ed è probabile che aumenteranno. Per ora si sono limitate al recupero degli stranieri che volevano lasciare la Libia. Il «San Giorgio» e il «Mimbelli» sono intervenuti ieri nel porto di Misurata. Rischi: Gheddafi aveva ordinato a una fregata di bombardare Bengasi, il comandante ha preferito raggiungere Malta. Un ulteriore segnale che la marina libica avrebbe smesso di essere operativa. No-drive zone E’ un’ipotesi remota. Poniamo che Gheddafi mobiliti le forze rimaste e cerchi di riconquistare le città perdute con un massacro. La comunità internazionale agisce per fermare la controffensiva colpendo tank e blindati. Operazione complessa che richiede caccia, aerei da attacco, velivoli per il rifornimento, elicotteri imbarcati. Necessario anche l’intervento di nuclei di commandos che «illuminano» i bersagli. Rischi: sono altissimi. Intanto perché vorrebbe dire un coinvolgimento diretto nel conflitto. Inoltre non è facile distinguere, specie nei centri abitati, le forze amiche da quelle ostili, i combattenti dai civili inermi. Senza contare che lo schieramento anti-Gheddafi è ostile a qualsiasi interferenza straniera. Corridoio Non è da escludere che singoli Paesi o l’Alleanza aprano corridoi temporanei. Per salvare stranieri in difficoltà o risolvere situazioni umanitarie disperate. Il cibo non manca ma il Fondo mondiale per l’alimentazione ha segnalato che il quadro potrebbe peggiorare nelle prossime settimane nel caso che il contrasto si cristallizzi. La risposta verrà affidata a aerei da trasporto C-130, caccia che garantiscono la copertura, forze speciali e associazioni civili (Ong, Mezza luna rossa). Il drammatico esodo di egiziani e tunisini verso i loro Paesi indica quali siano le emergenze che possono materializzarsi.
Guido Olimpio