Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 26/2/2011, 26 febbraio 2011
LA TRAPPOLA PETROLIO
Viene in mente la velenosa saggezza di Eduardo De Filippo che, all’inizio di Natale in casa Cupiello, protestando per la pessima qualità della bevanda mattutina, così apostrofava la moglie: “Ma perché vuoi dare la colpa al caffè, che in questa tazza non c’è mai stato!”. Con la stessa logica, chi oggi andrà a fare il pieno e troverà la verde a 1,54 euro (ma al Sud si arriva anche a 1,6), dovrebbe sentirsi autorizzato a stoppare allo stesso modo la lagna del benzinaio: “Ma perché vuoi dare la colpa a Gheddafi?”.
BASTA UN RAPIDO calcolo, in barili (il barile, in inglese barrel, non è un bidone di latta, ma un’unità di misura che equivale a 159 litri). La Libia produce, in condizioni normali, 1,2 milioni di barili di petrolio al giorno. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2011 il consumo mondiale di petrolio sfiorerà i 90 milioni di barili al giorno, registrando un aumento di 1,5 milioni di barili rispetto al 2010. Questo significa che, se anche la Libia venisse inghiottita dal Mediterraneo, con tutti i suoi gasdotti e pozzi di petrolio, per il pianeta verrebbe a mancare una quantità di greggio inferiore a quella che già viene a mancare ogni giorno, inesorabilmente, per l’aumento della domanda, proveniente soprattutto dai cosiddetti Paesi emergenti. Per avere un’idea delle proporzioni, dei 90 milioni di barili al giorno previsti per il 2011 si può considerare che gli Stati Uniti ne consumeranno 18-20 milioni, la Cina 10, l’Italia circa 1,5.
Vittorio D’Ermo, direttore dell’Osservatorio Energia dell’Aiee (Associazione italiana economisti dell’energia) e analista per il giornale online Quotidiano Energia, non ha dubbi: “Noi dell’Aiee abbiamo già calcolato, prima della crisi politica del Nordafrica, che per il 2011 il prezzo del petrolio si sarebbe portato sui 100 dollari al barile. Il petrolio serve comunque, ed è un tipico caso di domanda anelastica, che non cala all’aumentare del prezzo. E il prezzo non può che aumentare in ogni caso perché dovendo estrarre sempre più greggio si va incontro a costi di estrazione sempre crescenti”.
E infatti, guardiamo come si sta muovendo il prezzo del greggio sui mercati internazionali. In pochi giorni è balzato da 90 a 100 dollari al barile, per una classica reazione emotiva, e anche speculativa, dei mercati. Il petrolio più caro, il Brent del Mare del Nord, è arrivato addirittura a 119 dollari. Ieri il prezzo è tornato a calare. Si è fermato attorno ai 97 dollari.
PER PLACAREl’ansiadelmercato internazionale sono bastate due notizie. La prima è che l’Arabia Saudita ha aumentato la sua produzione da 8,3 a 9 milioni di barili al giorno. Un colpetto di acceleratore, niente di più: si consideri che i paesi dell’Opec (l’organizzazione dei produttori) ha riserve di produzione non attive di circa 6 milioni di barili al giorno. I 700 mila barili sparati sul mercato dall’Arabia sono probabilmente più del presumibile calo di produzione dei pozzi libici.
La seconda notizia è che c’è un leggero calo nella previsione di crescita del Pil degli Stati Uniti per il 2011. Siccome un’economia che cresce meno brucia anche meno petrolio, significa che la domanda americana quest’anno premerà meno sui prezzi del greggio. Questi sono i dati veri che formano, in ultima istanza, il prezzo del petrolio. E quindi, se ieri il prezzo è sceso a 97 dollari al barile, probabilmente ricominceràasalireversoquei100dollari che gli economisti ritengono il punto di equilibrio tra domanda e offerta nel 2011.
Se le cose stanno così, adesso c’è da capire in base a quale logica l’Eni ha aumentato i cosiddetti “prezzi alla pompa” per tre volte in otto giorni. Ieri ha piazzato un rincaro di due centesimi, portando il prezzo della verde a 1,536 euro e quello del gasolio a 1,426 euro. È vero infatti che, al di là dei freddi ragionamenti strutturali, i mercati internazionali, dove si formano sia il prezzo del petrolio sia i prezzi dei prodotti raffinati, reagiscono istericamente a crisi geopolitiche come quella del Nordafrica, e sull’isteria dei mercati è sempre pronto qualche abile speculatore a innescare brusche altalene dei prezzi su cui fare lauti guadagni. Ma è anche vero che l’automatismo con cui le società che distribuiscono la benzina in Italia scaricano sul prezzo finale ogni sussulto della politica internazionale, suscita quantomeno qualche interrogativo.
Un fatto è certo: il prezzo dell’energia mette in ginocchio l’economia occidentale. Anche per questo ieri il governo spagnolo ha reagito con una misura da choc petrolifero anni ‘70, abbassando il limite di velocità sulle autostrade a 110 chilometri orari, per indurre un risparmio di carburante . “Una decisione che non mi convince”, ha commentato il ministro italiano dei Trasporti, Altero Matteoli, forse trattenuta dall’appartenere al governo che ha fatto del limite elevato a 150 una sua bandiera.
SECONDO LA CGIA, l’associazione degli artigiani di Mestre, il pieno di gasolio per un camionistaècresciutoinunannodel22 per cento. Più o meno il petrolio ha registrato una crescita analoga, però tutti ormai hanno imparato che in Italia il prezzo del carburante è formato per meno della metà dal costo industriale (greggio + raffinazione + trasporto + distribuzione), tutto il resto sono tasse. E le accise, come si chiamano le imposte specifiche sui prodotti di questo genere, sono un tanto al litro, non una percentuale del prezzo, quindi non crescono insieme al barile. Sicuramente le compagnie petrolifere fanno pagare ai consumatori le proprie inefficienze, e soprattutto le diseconomie di una rete distributiva refrattaria alla liberalizzazione. Benzina e gasolio in Italia costano nettamente più che in Paesi simili.
Ma il dato strutturale più preoccupante è un altro. A prescindere dalla furbizia di petrolieri e benzinai, è la tendenza di fondo al rialzo dei prezzi petroliferi a costituire una zavorra pesantissima per l’economia di tutto l’Occidente. È proprio l’Iea ad avvertire (prima della crisi geopolitica del Nordafrica) che nel 2011 il prezzo del petrolio raggiungerà un livello tale da fermare la ripresa nei Paesi sviluppati. Infatti i consumi di prodotti petroliferi nel Nord del mondo diminuiranno anche quest’anno. Questo sta accadendo: i Paesi in grande accelerazione, come Cina e India, comprano sempre più petrolio, ne fanno salire il prezzo e questo mette in ginocchio l’Occidente. In tutto questo Gheddafi c’entra proprio poco.