Carlo Marroni, Il Sole 24 Ore 26/2/2011, 26 febbraio 2011
L’UBAE, LA BANCA ITALO-LIBICA DEL COLONNELLO
Nella comunità ebraica romana tutti si ricordano bene quando l’allora rabbino capo Elio Toaff, era il 25 novembre 1997, scivolò in via del Corso e si fratturò il braccio sinistro. Ma in pochi rammentano perché il professore era lì, davanti a palazzo Sciarra: aveva appena visto Cesare Geronzi, che guidava la Banca di Roma. L’incontro ebbe lo scopo reale (anche se non fu mai confermato) di avere delle rassicurazioni da parte del banchiere che nulla sarebbe cambiato nei rapporti tra la banca e la comunità ebraica visto che nel capitale dell’istituto, in via di privatizzazione, stavano per entrare ingenti capitali libici, attorno al 5% (in totale gli investitori arabi compresi sauditi e degli Emirati arrivarono all’8,2%). Gli ebrei romani con la Banca di Roma avevano forti legami, e l’operazione con Tripoli fece scattare al Ghetto non pochi timori, ma naturalmente Geronzi sistemò tutto. Furono quelli gli anni in cui – dopo l’avventura della Lafico in Fiat durata dieci anni dal 1976 al 1986 – era ripreso l’attivismo finanziario-economico del Colonnello Muammar Gheddafi in Italia, e che ha visto un’espansione graduale che ha aggirato negli anni le maglie dell’embargo. Ma la strategia del leader sull’Italia risale ad un’epoca ancora precedente l’ingresso in Corso Marconi.
Gheddafi era da poco più di tre anni alla guida del paese quando, nel novembre 1972 fu fondata a Roma la Ubae, Unione di banche arabe: soci principali la Lybian Arab foreign bank, braccio finanziario della Jamahiriya nato lo stesso anno e che oggi ha un capitale di 8,7 miliardi di dollari, e il Banco di Roma, cui si unirono Stet, Condotte, Icipu, Bnl, Sofid (Eni). Insomma tutti i principali protagonisti dell’economia italiana dell’epoca che interagivano con l’area mediterranea. E questo grazie al lavoro di Abdullah Saudi, il finanziere che poi gestì l’ingresso in Fiat e che aveva accesso diretto al leader, e di Mario Barone, il banchiere molto vicino a Giulio Andreotti che per un trentennio ha giocato da protagonista nel mondo bancario romano, incrociando tra Vaticano e sponda sud mediterranea. L’Ubae quindi da quasi 40 anni è una vera e propria stanza di compensazione dei rapporti economici italo-libici, con operatività in tutto il Maghreb, in Medio Oriente e nel Golfo. Negli anni l’azionariato è cambiato e da novembre scorso la banca libica ha il 67,55%, dopo che ha acquistato la quota dall’egiziana National Societè General Bank del 17,62 per cento. Gli altri azionisti sono Unicredit Banca Roma con il 10,79%, e con quote minori Eni, Telecom, Intesa Sanpaolo, Sansedoni (F.Mps) e due banche del Marocco. La banca oggi ha un capitale di 155 milioni, ma il suo valore reale è superiore, e rappresenta il discreto ma efficace braccio operativo nei finanziamenti al business petrolifero e all’export. Dalla nuova sede di via XX Settembre, proprio di fronte all’ingresso del ministero dell’Economia (per decenni è stata a Piazza Venezia, a pianoterra del palazzo delle Generali) si guarda con forte preoccupazione ai fatti di questi giorni, ma i rapporti italo-libici proseguiranno, anche dopo Gheddafi e la tragedia di questi giorni.
Va ricordato infatti che fu proprio il Banco di Roma ad avere un ruolo-chiave nella guerra di Libia del 1911, visto che finanziò quasi da solo la spedizione. A parte il ruolo "nazionalista" che il Banco assunse in quegli anni di inizio secolo la verità fu che l’istituto facilitò la spedizione anche e soprattutto per salvaguardare i suoi enormi investimenti, attività che venivano sistematicamente osteggiate dalla Turchia per limitare l’influenza italiana. Alla banca, all’epoca presieduta da Ernesto Pacelli, zio del futuro papa Pio XII, vennero affidati tutta una serie di servizi ed attività, come il controllo sui trasporti militari e civili, i rifornimenti di viveri per le truppe ed una esclusiva sui servizi bancari delle forze armate. Assunse quindi un valore simbolico l’ingresso, nel 1997, nel capitale di una banca che aveva pagato le armi che avevano sparato sulle popolazioni locali. E infatti dopo la rivoluzione del 1969 il Banco di Roma in Libia – che era stato, dalla imponente sede costruita nel 1934 vicino alla Medina, il volano della fiorente comunità italiana – fu una delle prime vittime della nazionalizzazione.