Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 26/2/2011, 26 febbraio 2011
LEGGERE IL FUTURO IN UN BARILE DI GREGGIO
Il rialzo del petrolio ha ormai catturato l’attenzione di investitori ed economisti, e la preoccupazione non è più - come qualche giorno fa - l’inflazione. È la crescita. La ripresa, timida nei paesi ricchi, che quel rialzo potrebbe frenare. O strozzare in culla, come nel nostro paese, tra le nostre aziende, alle quali sembra ora di dover guidare con la nebbia, senza capire dove si sta andando, dopo aver appena goduto di un timido raggio di sole.
Se il mondo si fermasse qui, se il petrolio non salisse ancora e la crisi nordafricana non minacciasse l’estrazione in altri paesi, le sollecitazioni potrebbero in realtà essere assorbite piuttosto agevolmente. Un aumento del 10% delle quotazioni del greggio - secondo gli studi della Banca centrale europea - ruba al prodotto interno lordo di Eurolandia 0,1 punti percentuali il primo anno, e 0,2 il secondo. Non molto diversa è la situazione negli Stati Uniti.
Occorrerebbe invece che il petrolio salisse almeno a quota 150 dollari, come avvenne nell’agosto del 2008, per far precipitare - come sempre avviene dopo un rapido rialzo dell’oro nero - una crisi. Nuove rivolte contro i dittatori, nella speranza di riconquistare le libertà, potrebbero quindi persino proseguire senza troppi strappi se solo i mercati non esasperassero - cosa che però è già successa durante questa crisi libica - le tensioni.
Resta il fatto che il caro-petrolio «non poteva venire in un momento peggiore», come dicono gli analisti: la ripresa è guidata dalle economie emergenti, molto poco efficienti nell’uso di energia, le famiglie dei paesi ricchi sono indebitate e fanno fatica a reggere i rincari, la Fed e la sua politica ultraespansiva spingono gli investitori verso il rifugio degli assets reali e quindi anche delle materie prime. Non è tempo per uccidere la speranza; ma un po’ di attenzione val la pena di averla.