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 2011  febbraio 25 Venerdì calendario

IL SUICIDA CHE NON PIACEVA A TOGLIATTI

Spesso la storia locale, se esattamente interpretata, funge da chiave di lettura per la storia nazionale, addirittura per quella internazionale. L’importante ricerca di Giorgio Petracchi, Al tempo che Berta filava. Una storia italiana 1943-1948 (Mursia, pp. 442, euro 20), si colloca proprio in questa direzione. Quindici anni dopo la prima edizione, il volume di Petracchi risulta accresciuto di nuovi documenti e ancora più esplicito nella tesi di fondo: la guerra civile fu condotta con due diversi, e per certi versi opposti, metodi militari e politici. Chi considerava la guerra fratricida un veicolo, necessario ancorché orrendo, per sottolineare i valori di libertà e democrazia calpestati dal fascismo, e chi invece considerava la guerra civile come un passaggio obbligato per raggiungere obiettivi di potere che nulla avevano a che vedere con libertà e democrazia.
La storia è esemplare: un giovane, Manrico Ducceschi, 23 anni nel 1943, di Santa Maria Capua Vetere, caporale degli alpini, era partigiano di Giustizia e Libertà in provincia di Pistoia. Egli fu protagonista di una situazione tipica nei rapporti tra formazioni partigiane comuniste e quelle non comuniste, non solo nel Pistoiese. Come sottolinea l’autore, i vari gruppi antifascisti affrontavano «l’impegno politico attraverso divergenti, forse opposte impostazioni».
Petracchi descrive l’attività partigiana di “Pippo”, nome di battaglia del Ducceschi, sulla base della documentazione reperita in archivi italiani e, soprattutto, americani. Un’azione in controtendenza rispetto a quella condotta dal Pci tramite le Brigate Garibaldi, che operavano non per il riscatto della patria, quanto per il trionfo del comunismo.
La zona era fortemente monitorata dai servizi segreti alleati, i quali non si fidavano dei comunisti. Con “Pippo” invece i rapporti si fecero sempre più stretti. Ciò non piacque affatto ai comunisti locali, fino al punto da interessare della questione lo stesso Togliatti, cui non sfuggiva affatto l’importanza strategica della zona. Il documento rinvenuto da Petracchi nei “National Archives” a Suitland è illuminante: il Migliore informa di essere stato avvertito che “Pippo” è al servizio degli Alleati e della monarchia, dalla quale sarebbe anche sovvenzionato, e nutre «sentimenti anticomunisti». Il commento è chiaro: «La fedeltà della formazione “Pippo” agli ordini anglo-americani è nociva alla nostra causa perché cattivandosi le loro simpatie e il loro appoggio non giova alla naturale inclinazione del partito verso l’Unione sovietica». Pertanto, raccomanda Togliatti, «è opportuno prendere adeguate misure perché la nostra propaganda s’infiltri nelle file degli uomini di “Pippo” e ne disgreghi l’organizzazione».
Ducceschi e i suoi divennero sempre più una banda autonoma, insofferente alle pressioni comuniste e ostile alla piega che stava prendendo la Resistenza.
Si profilava un nuovo fascismo mutato di segno e di colore. La guerra intanto finiva, ma ne iniziava un’altra, anche quest’altra in difesa della libertà, della democrazia e dei valori della nazione, solo che l’avversario era cambiato. Il nemico era l’organizzazione comunista, che voleva trasformare l’Italia in un nuovo soviet.
Ducceschi prese contatti con i servizi americani. L’Armata Italiana di Liberazione e altre organizzazioni simili si stavano organizzando soprattutto per evitare che il Pci tentasse un colpo militare, magari appoggiato dalla Jugoslavia di Tito, con cui da tempo (ancor prima della strage di Porzûs) vi erano contatti e sintonia di vedute.
Alla fine di agosto del 1948, “Pippo” fu trovato morto a casa propria, impiccato. I comunisti parlarono subito di omicidio fascista; altri, anche vicini alle sue posizioni, accusarono i comunisti. Un’inchiesta, rivelata per la prima volta da Petracchi, pare confermare il suicidio. Un suicidio che assume anche valenze politiche. È la testimonianza di un fallimento, quello degli azionisti che videro nella guerra di liberazione la nascita dell’Italia libera e si ritrovarono a fare i conti con un Pci filosovietico e una Dc filoamericana, entrambi poco sensibili ai valori nazionali. Ma è anche il fallimento dell’ipotesi di ricostruire la nazione senza avere mai voluto fare i conti con una guerra civile che ha lacerato irrimediabilmente la consapevolezza nazionale dell’Italia.
Giuseppe Parlato