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 2011  gennaio 25 Martedì calendario

GLI INSOSPETTABILI LIBERALI IN CAMICIA NERA

Tra i ’fascisti riverniciati’, os­sia quella parte di intellettuali che nel dopoguerra fece pro­fessione di antifascismo e lavò l’an­tica camicia nera fino a stingerla del tutto, un posto particolare occupa­no i liberali e i laici di varie tenden­ze. Una personalità di rilievo fu quel­la di Augusto Guerriero, un conser­vatore illuminato i cui scritti meri­terebbero di essere riscoperti. Noto anche con lo pseudonimo di Ric­ciardetto, che usava nei suoi artico­li pubblicati su ’Epoca’ a comin­ciare dagli anni Cinquanta, Guer­riero fu il commentatore principe di politica estera del ’Corriere della Se­ra’, fino al suo siluramento avvenu­to nel 1972. Editorialista raffinato e coltissimo, sempre accuratamente documentato nelle sue affermazio­ni, Guerriero è stato sempre consi­derato un ’afascista’, ossia un os­servatore neutrale e non ideologiz­zato che durante il Ventennio uti­lizzò le tribune della stampa per co­municare punti di vista e ragiona­menti non asserviti alle ragioni del­la propaganda. Questo è in parte ve­ro. Sennonché, a un’analisi più ri­gorosa, appare di tutta evidenza ciò che finora è stato sottaciuto: anche Guerriero non si sottrasse al dazio che il regime chiedeva agli intellet­tuali, ossia una qualche concessio­ne alla visione più ’partecipata’ de­gli eventi della cronaca di allora en­trati a far parte del panorama stori­T co di oggi. Ad esempio, in anni re­centi, sono stati riportati alla luce al­cuni articoli antisemiti firmati da Ricciardetto sul ’Corriere’ negli an­ni Quaranta. Non fu peraltro l’unico scivolone compiuto da Guerriero negli anni dell’Asse e della guerra mondiale. Per quanto riluttante a varcare la so­glia del conformismo di regime, e per questo non di rado censurato, Augusto Guerriero conobbe il suo exploit professionale proprio negli anni in cui il fascismo andava assu­mendo alcuni marcati tratti totali­tari. Nel 1935-36, Vittorio Gorresio gli assegnò una rubrica di attualità internazionale nell’’Eco di Mondo’. Quel grande talent scout che fu Leo Longanesi colse negli articoli del giornalista stoffa di qualità e gli af­fidò la responsabilità di commenta­re su ’Omnibus’ la politica estera. Dopo la soppressione di ’Omni­bus’, sul quale s’abbatté la pesan­te scure della censura, nel 1939 Guerriero fu tra le firme di punta della neonata rivista di Mondado­ri: ’Tempo’. Salvo migrare già l’an­no seguente al ’Corriere’, dove di­venne assiduo collaboratore della terza pagina.

Proprio gli articoli dei primissimi an­ni Quaranta furono raccolti in un vo­lume di Bompiani, Guerra e dopo­guerra,

che contiene un’analisi di­sincantata delle pavidità dei Paesi democratici di fronte all’avanzata del nazionalsocialismo in Europa.

Ma per quanto tentasse di sottrarsi alle brutali necessità della propa­ganda della nazione in guerra, Ric­ciardetto non fu esente da qualche caduta di stile. Alla morte dell’ex pre­mier britannico Neville Chamber­lain, nel novembre 1940, scrisse: «Poco dopo essere uscito dal gover­no, il vecchio Chamberlain uscì da questo mondo. Era tempo. Sarebbe stato infinitamente meglio per lui e per tutti se fosse morto prima, mol­to prima. Nessuno lo pianse tranne la moglie, che gli sopravvisse poco. Era morto di una comune e volgare malattia, come muore tanta gente ogni giorno. Se fosse stato un gene­rale giapponese, si sarebbe ucciso assai prima».

Anche un uomo alieno alle invetti­ve, arrivò dunque a sbeffeggiare i ca­pi delle nazioni occidentali imbelli. In un altro articolo, definì «abietto e infame» il regime parlamentare del­la Terza repubblica francese, impic­cando un intero popolo – arresosi quasi senza combattere alle armate di Hitler nel giugno 1940 – alla ver­gogna della propria diserzione. An­che davanti alla figura del primo mi­nistro francese, come aveva fatto per Chamberlain, Guerriero tornò ad a­gitare il cappio o il karahiri : Dala­dier era un codardo, perché «un mi­nistro giapponese, al suo posto, si sarebbe ucciso». Non troppo tene­ro fu anche nei confronti del presi­dente americano Roosevelt, che ac­cusava di aver condotto – alla testa del suo popolo – una linea politica «pacifista per conto proprio e belli­cista per conto altrui». Gli Usa roo­seveltiani, insomma, prima di esse­re trascinati nel conflitto dall’attac­co dei giapponesi alla base di Pearl Harbor, denunciavano al mondo la viltà di Francia e Inghilterra, salvo poi rifiutarsi a loro volta di combat­tere.

Ricciardetto si trova in buona com­pagnia nella galleria del giornalismo e della cultura nostrana del Nove­cento. Basta scorrere le annate del ’Tevere’, quotidiano mussoliniano turgido di retorica imperiale, per tro­varvi le iperboli della propaganda fascista sotto firme di personaggi in­sospettabili che certo non venivano reclutati per un caso fortuito della vita. Il ’Tevere’ diretto da Telesio In­terlandi fu, fin dal 1934, inesorabile martellatore della nuova coscienza ’razziale’, mentre sulle sue pagine comparivano le firme di Massimo Bontempelli, Achille Campanile, Vincenzo Cardarelli, Ugo Ojetti, Lui­gi Pirandello, Alberto Savinio, Orio Vergani, Alessandro Bonsanti, Rug­gero Orlando, Elio Vittorini, Corra­do Alvaro, Vitaliano Brancati.

Proprio del socialista liberale Rug­gero Orlando, indimenticato volto della tv italiana, ex esule antifascista affinatosi professionalmente dai mi­crofoni di Radio Londra, abbiamo trovato un esemplare articolo, sfo­gliando l’annata 1931 del ’Tevere’. Sul numero del 27 ottobre, un’am­pia corrispondenza a sua firma rife­risce della Mostra nazionale d’arte dei Guf a Napoli. Il pezzo così esor­disce: «Una lode anzitutto va rivol­ta ai gerarchi nazionali per il con­senso da essi espresso a titolo di in­coraggiamento a questa mostra d’arte nazionale che si tiene nelle sa­le dell’ala sinistra di Castelnuovo o Maschio Angioino che dir si voglia, secondo il termine energico [legga­si ’virile’, ndr ] preferito dalla tota­lità dei napoletani: l’ambiente dei giovani intellettuali è infatti il più a­datto per esprimere i rappresentan­ti di quelle energie che formeranno il patrimonio della nazione di do­mani’.

A questo programmatico cappello fa seguito un’esaltazione del nuovo slancio in senso fascista rivoluzio­nario impresso dagli artisti alla vita nazionale. Il tutto condito da un at­tacco al crocianesimo e, in genera­le, a quella scuola di pensiero libe­rale fiorita a Napoli tra Otto e Nove­cento, in campo storico e filosofo. Tutto ciarpame, sentenzia Orlando, giacché nella «capitale intellettuale dell’Italia liberaldemocratica» le «scorie del passato sembrano in­crostate più robustamente che al­trove », mentre è necessaria una ro­busta spallata in grado di «imporre al pubblico vedute consone alla o­nestà e alla modernità» espresse dai novelli spiriti eletti. Conclude il fu­turo corrispondente Rai da New York: «È significativo quindi che, proprio nel decennale di un evento politico squadristico [la Marcia su Roma, ndr ], il quale mutò con un colpo di timone rivoluzionario la fi­sionomia dell’Italia, un’ondata arti­stica di giovani di tutte le regioni por­ti nella regina del Mediterraneo un soffio di aria nuova, indipendente da controlli e animato di seria e o­nesta strafottenza».