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 2011  febbraio 25 Venerdì calendario

Le ultime parole (scritte) di Mussolini - Nel pomeriggio del 20 aprile 1945 Mus­solini concesse un’intervista a un suo fedelissimo ­ Gian Gaetano Ca­bella direttore del Popolo di Ales­sandria - che s’era distinto per vio­lenza nella polemica antibadoglia­na

Le ultime parole (scritte) di Mussolini - Nel pomeriggio del 20 aprile 1945 Mus­solini concesse un’intervista a un suo fedelissimo ­ Gian Gaetano Ca­bella direttore del Popolo di Ales­sandria - che s’era distinto per vio­lenza nella polemica antibadoglia­na. Due giorni dopo, l’intervista fu dallo stesso Mussolini riveduta e corretta. Un documento genuino che davvero può essere considera­to, e che il Duce considerò, un testa­mento politico. Fu pubblicato nel 1948 - tre anni dopo la morte di Mussolini, in ossequio a quanto da lui stabilito-ed è stato dopo d’allo­ra poco utilizzato, tanto da appari­re quasi inedito. A torto. Perché si tratta d’una testimonianza autenti­c­a tra tante dubbie o false che circo­lano, e perché le parole che vi sono registrate venivano da un uomo che sei giorni dopo sarebbe stato appeso ai ganci del distributore di benzina di piazzale Loreto a Mila­no. È impressionante e stupefacente insieme ricordare come Mussolini abbia dilapidato il tempo trascorso nella prefettura di Milano dopo che ci era arrivato dal Garda. Si te­nevano riunioni inconcludenti contrassegnate da formalità grotte­sche mentre il regime­ o ciò che ne restava- crollava nel disordine. Car­lo Alberto Biggini, ministro del­l’Educazione nazionale di Salò, fu ricevuto il 22 aprile - lo stesso gior­no in cui il Duce approvò l’intervi­sta di Cabella- e ha raccontato nel­le sue memorie d’avere conferito con lui «attorno alle cose più urgen­ti ». Che erano «la nuova legge sui maestri, definitivamente concor­data e approvata, e una comunica­zione da fare alla radio di quanto da me realizzato in quest’ultimo anno per il completamento e po­tenziamento dell’università di Trie­ste ».Un’atmosfera d’incubo traso­gnato, nella quale l’angoscia del­l’imminente fine e i proclami di re­sistenza a oltranza s’intrecciavano al surreale svolgimento d’incom­benze burocratiche. Cabella, a dimostrazione di co­me le testimonianze possano diver­gere, trovò Mussolini «benissimo in salute, contrariamente alle voci che correvano». «Il colorito appari­va sano e abbronzato, gli occhi viva­ci, svelti i suoi movimenti».Di pare­re opposto il medico tedesco dot­tor Zachariae secondo il quale Mus­solini «dimostrava un’assoluta mancanza di energia e di intelligen­za, non mangiava e non dormiva quasi più».Certo sembrano piutto­sto incongrue, in quella vigilia d’or­rore, le parole con cui Mussolini ac­colse Cabella: «Cosa mi portate di bello?».Di bello non c’era nulla per lui, le armate angloamericane ir­rompevano nella pianura padana, nel Clnai prevaleva il parere che fos­se meglio vederl­o giustiziato piutto­sto che prigioniero degli alleati. Re­stavano due sole possibilità, la mor­te eroica o una resa con condizioni. I dilemmi erano tremendi, ma Ca­bella indugiò a mostrare i numeri speciali con cui il suo giornale s’era scagliato contro gli infami del 25 lu­glio, «Stellassa» (Umberto II), «Pupullo» (Badoglio) e «Bazzetta» (Vittorio Emanuele III). Cabella voleva sapere cosa Mus­solini pensasse della situazione, e la risposta fu che erano in corso trat­tative e che interm­ediario era l’arci­vescovo di Milano cardinale Schu­ster. «Vi fidate del cardinale?»,chie­se Cabella. «È viscido ma non pos­so­dubitare delle parole di un mini­stro di Dio», replicò Mussolini che non aveva del tutto dimenticato i trascorsi anticlericali.«Ho l’assicu­razione che noi sarà versata una goccia di sangue». Quanto si sba­gliava. Un testamento autodifensivo. Nel quale Mussolini rivendica l’ine­vitabilità dell’entrata in guerra. «Non ebbi pressioni da Hitker, Hit­ler aveva già vinto la partita conti­nentale, non aveva bisogno di noi». Sul punto Mussolini aveva ragio­ne. Ne aveva meno quando affer­mava che tutti lo sollecitavano al­l’intervento. Ancora in quel suo cu­po tramonto il Duce cullava sfondi millenaristici, auspicava e insieme rimpiangeva un’Europa divisa in due, Nord e Nord-est a influenza germanica, Sud-est e Sud-ovest a influenza italiana. E ribadiva, po­tendo contare su un ascoltatore de­voto: «Non ho bluffato quando af­fermai che l’Idea Fascista sarà l’idea del secolo XX.Non ha assolu­tame­nte importanza una eclissi an­che d’un lustro, anche d’un decen­nio ». Pronosticava una terza guer­ra mondiale: «democrazie capitali­s­tiche contro bolscevismo capitali­stico ». Bisogna riconoscere che in questa profezia c’era un barlume di verità, solo che la guerra tra de­mocrazie e comunismo è stata fred­da. Considerazioni tutte autodifensi­ve, ripeto, ma di diverso livello. Al­cune improntate a un realismo ras­segnato e orgoglioso insieme. Il Mussolini lucido della Storia di un anno scritta a puntate, anonima, ma lo stile era inconfondibile, sul Corriere della Sera : «Sono qui al mio posto di lavoro dove mi trove­ranno i vincitori. Lavorerò anche in Valtellina». Altre in sintonia con i deliri hitleriani, ma con minore convinzione: «Le armi segrete ci so­no ».E ancora,fantasticando:«Le fa­mose bombe distruttrici sono per essere approntate. Ho, ancora po­chi giorni fa, avuto notizie precisis­sime. Forse Hitler non vuole vibra­re il colp­o che nella assoluta certez­za che sia decisivo ». Mussolini non era un fanatico farneticante come il Führer del bunker di Berlino. Era un uomo capace di ragionare che in molti passaggi di questo docu­men­to sembra tuttavia vittima del­la sua stessa propaganda. Credibili invece le frasi in cui spiega d’esser­si assolto il compito di guidare la vassalla Repubblica di Salò nella convinzione di potere così allevia­re le sofferenze dell’Italia percorsa da eserciti stranieri. Personalmente sono stato colpi­to, leggendo questo testamento, dalle ammissioni e dalle omissio­ni. Mussolini abbellisce o giustifica con pronunciamenti storici, in un’ora che non dovrebbe più con­sentirgli finzioni, le tragedie delle quali è stato artefice o partecipe. Non mi pare ci sia nel documento cenno di pentimento per le leggi razziali, un moto di rammarico e di pietà per i morti nella inutile e vile campagna di Grecia, per i soldati dell’Armir,per i combattenti d’Afri­ca. Quelle infamie e quei sacrifici vengono diluiti in una prospettiva a lunghissimo raggio, già bollata co­me fallimentare dagli avvenimen­ti. In un personaggio che non era crudele, che aveva anzi doti di uma­nità, questa non è la dimenticanza del cinico. Questa è la rimozione di chi, consegnandosi ai posteri, vuol presentare se stesso come portato­re d’un messaggio ideale valido per il futuro. Non, beninteso, per il futuro e libertà.