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 2011  febbraio 25 Venerdì calendario

Yara, tre mesi nel buio del nulla - Liberata dai camper bianchi delle tv, dalle telecamere a spalla, dalla pattuglia di polizia locale, via Rampinelli è un deserto di silenzio

Yara, tre mesi nel buio del nulla - Liberata dai camper bianchi delle tv, dalle telecamere a spalla, dalla pattuglia di polizia locale, via Rampinelli è un deserto di silenzio. Ogni sera e ogni mattina nella villetta della famiglia Gambirasio si aspetta una notizia, un accenno che fortifichi fiducia, uno spiraglio che illumini le indagini. Risponde il nulla. Davanti al cancelletto della villetta, viene da ribattezzare lo spezzone di strada Via della Tortura. Dal tardo pomeriggio del 26 novembre, quando Yara è evaporata, il futuro, la speranza si adagiano su questo mare piatto increspato di quando in quando da ventate subito affievolite e poi del tutto spente: le testimonianze di un ragazzo, di un uomo, di una donna, ritenute non convincenti, il fiuto dei cani fino all’immenso cantiere del futuro centro commerciale e ricerche che hanno abortito ogni traccia, il ritrovamento di un giubbotto che non era suo, l’inseguimento in mare di un tunisino innocente. Domani il silenzio celebrerà la ricorrenza di tre mesi del nulla. Rimane come un totem, in tutto questo vuoto, la forte e timida speranza dei genitori della ragazzina, Fabio e Maura: «Sì, continuiamo a sperare, come nei giorni dell’appello», conferma Maura, senza spingersi oltre. Era il 28 dicembre, le dieci di mattina, quando, tenendosi per mano, lei e il marito presero posto davanti ai giornalisti nell’ex colonia che fu la prima base operativa delle ricerche. Fulvio lesse la pagina in stampatello dove raccontava una famiglia semplice: «Non abbiamo mai fatto o voluto il male di nessuno», pregò di «aprire quella porta o quel cancello» che imprigionava Yara, e rassicurò: «Non chiediamo di sapere. Non puntiamo il dito contro qualcuno». Si sperò davvero che qualcosa si stesse muovendo, di nuovo lo si sperò quando fu chiesto il silenzio stampa e lo sgombero di via Rampinelli. Soltanto il nulla, e la cortesia mai intaccata dallo sgomento e dall’incredulità, il dignitoso convivere con la nostra curiosità, fino ad addolcire la tempra dei cronisti più sbranatori. In via Rampinelli la quotidianità prosegue come prima. Non è solitudine, perché c’è la vicinanza di amici e conoscenti, c’è la costante presenza di don Corinno, che non è soltanto preghiera ma è fede in senso più largo. E le indagini, gli investigatori? «Continuano a lavorare e a informarci». Vi sentite sostenuti, seguiti? «Sì, non ci hanno lasciati». Nulla più, perché l’educazione ha già fatto un grande sforzo sulla discrezione naturale e poi scelta come linea di condotta. Ma è il paese ad avere invece questa sensazione grigia. Saranno le squadre ridotte che partono per ricerche su segnalazione, sarà il minor viavai di mezzi con le insegne dello Stato, sarà il silenzio stampa. Qualcuno lo dice chiaro: «Non dovevano lasciarvi andare via, eravate un po’ ingombranti, d’accordo, ma eravate la garanzia che qualcuno premeva sul lavoro degli inquirenti». Che in realtà proseguono, per esempio con i tabulati di 15 mila telefonate partite o arrivate in quest’area quella sera. Nei giorni scorsi sono andati a prelevare all’alba un giovane muratore senegalese: il suo telefonino agganciò la cellula proprio nell’ora cruciale e nel punto cruciale. E’ rimasto a dar risposte fino alle due del pomeriggio: stava parlando con la sua fidanzata e ha dimostrato tutti i suoi spostamenti precedenti e successivi. E’ l’assenza di notizie, seppur minime, a far leggere nel silenzio una rinuncia. Ma in questura e nella caserma dei carabinieri, a Bergamo, più che rinuncia c’è un altro malessere: anche qui si cercano dettagli, telefonate, soggetti «interessanti» nascosti nel nulla. Trecento sensitivi hanno dato indicazioni, tra il cantiere e i boschi, corsi d’acqua di altre regioni e interni di case e cascine. Tutto controllato, fino al Friuli. Niente. Da qualche vetrina la foto di Yara con l’appello è scivolata via come foglia morta. E subito si è levato vento polemico, anche un po’ inutile: «Era malandata, sbiadita. E poi aveva senso allora, a caldo. Oggi il suo viso, il sorriso, la scomparsa la conoscono tutti da giornali e televisioni. Non esiste nessuno che non sappia». E’ vero, in fondo, ma nella quiete di Brembate di Sopra, nell’inseguirsi di villette e casette a schiera fino ai capannoni industriali quell’immagine aveva già da tempo perso il suono dell’allarme per acquistare quello della solidarietà e della speranza. La paura profonda è che le indagini si vestano della rinuncia a esporre un volto. L’ha detto per tutti, nell’inverno del nostro sconforto, il caposquadra della Protezione Civile Giovanni Valsecchi, 67 anni, ex alpino, inscalfibile nella sua determinazione a cercare: «Arriverà quel giorno quando ci diranno di smettere. Ne abbiamo passati tanti, quello sarà il più brutto». Ci prova don Corinno a tenere saldi speranza e coesione, da un punto di vista religioso («la speranza contro ogni speranza») e terreno: «L’unica cosa impossibile che vorrei è che il 2010 avesse avuto un giorno di meno». Sfoglia con pensiero non di maniera ma di saldezza il secondo quadernone lasciato aperto sotto la statua della Madonna. Ci scrive chi vuole: «Siamo mani che ti chiedono di essere strette e guidate da te». Legge e dal cancelletto della canonica vengono gli strilli di bambini e ragazzini che passano ogni giorno, due volte al giorno, a salutare il cagnetto Tequila. Il sacerdote va avanti: «Non solo cose malvage nel mondo, ma quelli che camminano innocenti nella vita, come lei, come Yara». Sta facendo sera. Torna il buio, il nulla, anche su Yara.