VALERIA FRASCHETTI , la Repubblica 25/2/2011, 25 febbraio 2011
NOZZE TROPPO CARE L´INDIA VIETA I BANCHETTI D´ORO - È
tempo di dieta per il grasso, grosso matrimonio indiano. Il titolare del ministero dell´Alimentazione di Nuova Delhi non ne ha dubbi e ha annunciato di voler introdurre una legge che ponga fine agli sprechi dei pantagruelici banchetti nuziali, così da risparmiare cibo da dare ai poveri. Il ministro Kuruppasserry Varkey Thomas sostiene infatti che il 15 per cento dell´intera produzione di cereali e verdure dell´India «viene sprecato durante stravaganti e lussuose cerimonie». «Un atto criminale», come lo definisce lui, in un Paese dove una significativa fetta della popolazione non riesce letteralmente a mettere il pranzo con la cena, tanto che quasi un bambino su due sotto i cinque anni soffre di malnutrizione.
Cifre ufficiali per verificare la stima della gigantesca massa di avanzi non esistono. È vero, però, che se c´è una cosa per cui gli indiani, di ogni casta e classe, proprio non desiderano badare a spese, quella è il matrimonio. Sono disposti a indebitarsi per una vita intera, e anche la futura, per celebrare con sfarzo la loro più importante istituzione sociale. Che rappresenta non solo l´unione di una coppia, ma di due famiglie intere. E non c´è dubbio che, con l´effervescente sviluppo economico della nazione, il lusso esibito alle feste nuziali stia aumentando. Certo, sono ancora pochissimi a potersi permettere matrimoni che diventano eventi mediatici, come quello che Lakshmi Mittal, il tycoon dell´acciaio, organizzò per sua figlia: al palazzo di Versailles, con 45 chef da tutto il mondo. Ma anche il ceto medio-basso è sempre più disposto a follie per fare sfoggio della sua nuova ricchezza. Il trend dell´industria lo dimostra: registra una crescita di almeno il 20 per cento l´anno e un giro d´affari di circa 7 miliardi di euro.
Le cerimonie, che durano fino a una settimana e superano facilmente il migliaio di invitati, offrono oramai banchetti con leccornie gastronomiche delle diverse cucine regionali, quando non internazionali. E gli eccessi non si limitano al cibo. L´ultimo moda, specie tra i contadini che si stanno arricchendo vendendo le loro terre ai margini delle metropoli, è noleggiare un elicottero, al posto del tradizionale cavallo, per l´arrivo dello sposo. Insomma, la sobrietà non è esattamente la caratteristica che appartiene ai matrimoni in India.
Eppure austerity è proprio la parola d´ordine del ministro dell´Alimentazione. Non solo per via dello scempio dello spreco. Ma anche perché il governo di Manmohan Singh ha bisogno di mostrarsi vicino al suo elettorato, tradizionalmente concentrato nelle fasce povere, in un momento in cui questo sta fronteggiando una fiammata d´inflazione che, specie per i generi alimentari, non accenna a spegnersi. Un comitato d´esperti, guidato dall´agronomo M. S. Swaminathan, il guru della "rivoluzione verde", si è quindi messo a lavoro per studiare una soluzione al problema. Per ora, però, l´unica ipotesi trapelata, quella di introdurre un tetto al numero degli invitati, ha creato una reazione di sdegno generalizzato. I politici della destra induista, all´opposizione, sostengono che l´iniziativa sarebbe un ritorno all´India socialista degli anni Sessanta quando, ai tempi di penose carestie, venne introdotta una controversa legge che limitava gli ospiti alle cerimonie pubbliche. Altri critici nella società civile sottolineano che, invece di pensare a una cura dimagrante per i matrimoni, il governo farebbe meglio a rendere più efficiente il suo sistema di sussidi alimentari per chi vive sotto la fascia della povertà. Un programma ambizioso, che nelle intenzioni dovrebbe aiutare a sfamare quei 600 milioni di indiani che campano con meno di due dollari al giorno, ma che in realtà è un colabrodo, accidentato dalla corruzione endemica dello Stato.
La strada per riuscire a mettere un freno alla smania da ostentazione ai matrimoni appare quindi in salita. E, probabilmente, l´opposizione più feroce arriverà proprio dal popolo che, senza i suoi luculliani matrimoni, si sentirebbe privato di una parte della propria identità nazionale.