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 2011  febbraio 25 Venerdì calendario

PETROLIO, PREZZI E TASSI D´INTERESSE. L´INCUBO DI UNA NUOVA RECESSIONE

Dimenticate depressione, recessione, anche inflazione. Sono le paure di ieri. Adesso la paura, che evocano economisti e operatori, è la stagflazione, cioè la somma di tutti i mali possibili: produzione e redditi si fermano, ma i prezzi, invece di diminuire, come vorrebbe la teoria, continuano ad aumentare, strangolando progressivamente l´economia. È una paura che agita in particolare l´Occidente, dove la ripresa che trascina oggi i paesi emergenti stenta, invece, a decollare. E discende direttamente da un´altra ansia: quella del contagio dei rivolgimenti politici in corso a tutto il Medio Oriente, la regione da cui viene il grosso del petrolio mondiale. È il barile di greggio, infatti, a collegare quest´ansia a quella paura: l´esperienza storica mostra che un prezzo del petrolio che resta alto per mesi precipita, quasi sempre, il mondo in recessione.
Nonostante il mercato sembri averla già incorporata, facendo schizzare il greggio verso i 120 dollari a barile, l´ipotesi di un vasto sommovimento politico che paralizzi a lungo la produzione globale di petrolio è, in realtà, oggi, piuttosto remota. La Libia, da sola, non giustifica particolari apprensioni. Il 2 per cento del greggio mondiale, fornito, fino a ieri, da Gheddafi, può essere abbastanza facilmente sostituito da petrolio pompato altrove. La situazione diventerebbe più difficile, ma ancora gestibile, se una rivolta paralizzasse la produzione in un altro paese del Maghreb, come l’Algeria. Insieme, Libia e Algeria valgono il 4 per cento del petrolio mondiale. Ma le cose diventerebbero veramente complicate, se nel vortice entrassero l´Iran (5 per cento della produzione mondiale), gli emirati del Golfo (6 per cento, senza il Bahrein che di petrolio non ne ha) e, soprattutto l´Arabia saudita (10 per cento). Nonostante la fragilità della situazione politica in Iran e la precarietà di quella sociale in Arabia saudita (dove, comunque, martedì il re ha distribuito 36 miliardi di dollari di sussidi vari alla popolazione), pochi osservatori ritengono, tuttavia, realistica la possibilità di sommovimenti politici in questi paesi.
Gli stessi osservatori, peraltro, hanno sbagliato sia per la Tunisia, sia per l´Egitto, sia per la Libia. E, in ogni caso, anche una paralisi della produzione limitata a Libia ed Algeria può avere effetti devastanti. Il parametro fondamentale è il tempo. A pompare quel 4 per cento di petrolio mondiale che mancasse all´appello, per assenza della Libia e, in ipotesi, dell´Algeria, provvederebbero, infatti, i ricchi pozzi dell´Arabia saudita. Ma significherebbe farli produrre al massimo della capacità. I tecnici petroliferi ritengono che i sauditi possano produrre a tavoletta solo per qualche mese. Poi, il petrolio verrebbe a mancare. È questo scenario, anche se ancora ipotetico, che sta arroventando il mercato del petrolio e agitando le paure.
A evocare lo spettro della stagflazione sono intervenuti, in questi giorni, operatori come Mohammed El-Erian, gestore della Pimco, il gigante mondiale dei titoli a reddito fisso, economisti rispettati, come Nouriel Roubini e la stessa portavoce della Commissione Ue a Bruxelles. Il punto è che l´impennata del prezzo del petrolio si verifica in una congiuntura economica particolarmente delicata in Occidente e, soprattutto, in Europa. I prezzi, soprattutto per gli aumenti di frumento e mais e dei beni alimentari in genere, sono già in rialzo. L´inflazione europea, che era all´1,9 per cento a novembre, viaggia oggi al 2,4 per cento. Nelle previsioni, ad esempio della Banca centrale europea, si trattava di una gobba, che sarebbe stata riassorbita nei prossimi mesi, quando i nuovi raccolti avessero calmato i mercati alimentari. L´impennata del petrolio cambia lo scenario. I titoli più sensibili all´inflazione (come gli zero-coupon) registrano aspettative al rialzo, anche al di là dei prossimi 12 mesi.
Il problema non è un picco improvviso della quotazione del barile, anche a 130-140 dollari, nei prossimi giorni. Quello che impatta sulla situazione economica è il prezzo medio annuale. L´elemento devastante del 2008 non fu il record di 147 dollari a barile del luglio. Ma il fatto che, nell´arco dell´anno, il prezzo medio fu di 99,67 dollari. Secondo più di un economista, questo prezzo fu la molla dell´ultima grande crisi mondiale. Adesso, abbiamo cominciato il 2011 sopra i 100 dollari a barile. Secondo El-Erian, l´aumento del prezzo del petrolio ha due effetti devastanti. Da una parte, aumenta i costi di produzione e, contemporaneamente, attraverso, ad esempio, la benzina, agisce come una tassa sui consumatori, deprimendo l´attività economica. Dall´altra, spinge all´accaparramento, in generale, delle materie prime, dando ulteriore fuoco agli aumenti dei prezzi. In altre parole, una tenaglia che era già in azione sull´economia europea, rischia di diventare ancora più potente.
Anche perché la tenaglia, nello scenario della stagflazione, ha una terza ganascia: la crisi del debito di molti paesi europei. La medicina tradizionale contro l´inflazione è l´aumento dei tassi di interesse. Oggi, in Europa, la Bce pratica un tasso dell´1 per cento, inferiore, cioè all´inflazione, sia per aiutare la ripresa, che per alleggerire i problemi di finanziamento degli Stati indebitati. Ma è facile avvertire, soprattutto a Berlino, i brontolii verso una politica monetaria ritenuta troppo accomodante. Se l´inflazione, nei prossimi mesi, non tornerà sotto il 2 per cento (che è l´obiettivo ufficiale della Bce) sarà difficile resistere alle pressioni tedesche per un rialzo dei tassi. Ma gli effetti, nell´immediato, sarebbero pesanti. Un costo più alto del denaro renderebbe più difficile la ripresa. E, contemporaneamente, Stati deboli, come Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia dovrebbero pagare rendimenti più alti ai loro creditori, aggravando i loro debiti. Per trovare i soldi, sarebbero, probabilmente, costretti ad un nuovo giro di austerità, con tagli di spese e rincari di tasse, ma questo indebolirebbe ulteriormente la ripresa. Se il mercato petrolifero non torna alla normalità e non si dimostra che i sommovimenti politici non incidono a lungo sul numero di barili estratti, la crisi iniziata nel 2008 rischia di avvitarsi ulteriormente su se stessa.