Antonia Matarrese, l’Espresso 3/3/2011, 3 marzo 2011
CACAO MERAVIGLIAO
Dopo l’attentato alle Torri Gemelle del settembre 2001, negli Stati Uniti ci fu un’impennata di vendite di rossetti. Oggi, in tempi di recessione, si cerca conforto in una tavoletta di cioccolata. Annoverato fra le cosiddette "soft commodities", il cacao rischia di diventare una materia prima di lusso, una sorta di oro nero del Terzo Millennio. I segnali? Una domanda crescente da parte delle aziende produttrici di cioccolata che ha superato i 2,8 milioni di tonnellate l’anno, di cui 1,2 in Europa, un prezzo all’ingrosso che ha toccato le 2.230 sterline a tonnellata nell’ultima settimana, i mutamenti climatici che hanno reso la coltivazione del cacao sempre più difficile in alcune zone del globo come, per esempio, l’Indonesia, ma soprattutto l’Africa Occidentale. E proprio la Costa d’Avorio, che rappresenta il 40 per cento della fornitura mondiale di cacao con un giro d’affari per il suo governo di oltre 1,6 miliardi di dollari, ha deciso di bloccare temporaneamente le esportazioni: una mossa politica del Presidente Alassane Quattara contro il rivale Laurent Gbagbo che detiene il business del settore. Aggiungiamo che l’albero del cacao richiede molte cure e impiega dai 3 ai 5 anni per arrivare a una produzione a regime, e concludiamo che la preoccupazione delle aziende che confezionano il prodotto finale non è immotivata.
Secondo i dati forniti da Aidepi, l’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane, nel medio periodo (nel 2009 rispetto al 2005), la performance del comparto cioccolatiero è stata la migliore in assoluto dell’intero settore dolciario: più17,8 per cento in volume e più 23,2 per cento in valore. Anche in tempi di magra, il consumatore italiano non ha rinunciato a questo piccolo piacere quotidiano: nel 2009 i prodotti finiti di cioccolato sono cresciuti complessivamente del 2 per cento in volume e del 5,7 per cento in valore, per un totale di 276.900 tonnellate pari a 3.282,9 milioni di euro. "Negli ultimi anni i semi di cacao sono diventati oggetto di grosse speculazioni sui mercati finanziari con fondi che hanno congelato milioni di tonnellate di scorte di cacao", spiega Gian Battista Mantelli, amministratore delegato alle strategie commerciali e marketing della Venchi, storica azienda piemontese che, nel 2010, ha incrementato del 34,5 per cento le vendite di cioccolato raggiungendo un fatturato di 31 milioni di euro. "Gli scenari futuri ipotizzano consumi di qualità: anche per questo, in collaborazione con Slow Food, abbiamo messo a punto il codice etico "buono, pulito e giusto" che prevede un nostro coinvolgimento diretto nei rapporti con i grandi trader e coltivatori di cacao. Per quanto riguarda i fornitori di materia prima, da sempre per noi sono il Centro e il Sud America per i cacao aromatici, la Tanzania e il Ghana per il burro di cacao".
Non acquista cacao dalla Costa d’Avorio neppure un marchio di nicchia come Domori, fondato nel 1997 da Gianluca Franzoni e acquisito nel 2006 dalla Illy di Trieste. "Usiamo soprattutto il cacao venezuelano detto Criollo di cui ho recuperato le coltivazioni una quindicina di anni fa. Il nostro obiettivo è di riuscire a produrne 200 tonnellate entro il 2015", sottolinea Franzoni, che esporta in Francia, Germania, Svizzera, Olanda, Russia e Giappone. "Oggi il cacao più pregiato arriva anche da Ecuador, Perù, Madagascar, Tanzania, Java: la ricetta vincente sta nel blend". Blend che sommati alle linee Single Origins, Criollo, Gianduja e D-Fusion, proietteranno il fatturato dell’azienda di None, alle porte di Torino, verso gli 8 milioni di euro nei prossimi due anni.
In attesa che popolazioni ancora "vergini" per quanto riguarda il consumo di cioccolata come i cinesi scoprano le delizie dell’antico Theobroma, ovvero il cibo degli dei.