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 2011  febbraio 25 Venerdì calendario

IL BARILE A 120 DOLLARI COSTERÀ ALL’IMPRESA UN MILIONE IN PIÙ

Brividi da caro energia, brividi per un prevedibile stop dei nostri già timidi segnali di ripresa economica. L’Italia fa i conti con il suo cronico "supplemento paura". Perché le nostre imprese sono esposte praticamente il doppio ai rincari delle materie prime petrolifere rispetto ai concorrenti europei. Questione di competitività e, se l’impennata dovesse puntare troppo in altro per un periodo non brevissimo, di sopravvivenza. Gli analisti confermano.

Ogni 10 dollari di aumento stabile del barile asciuga il Pil italiano di 0,2 punti, incalza la Confindustria. Rimarcando che con il greggio a 117 dollari il "pun" (il prezzo unico nazionale dell’elettricità che si forma nella nostra borsa elettrica) punterebbe ai 72 euro a megawattora contro il 68 euro prodotti con il barile a 90-95 dollari.

Valuta Davide Tabarelli, direttore di Nomisma Energia, che una tipica azienda industriale italiana (20 milioni di chilowattora di elettricità e 10 milioni di metri cubi di gas consumati ogni anno), se il barile si stabilizzasse sui 120 dollari subirebbe un aggravio annuo da quasi 900mila euro (un po’ meno di 500mila per l’elettricità, il resto per il metano) che diventerebbero quasi 2,7 milioni (poco meno di 1,3 per l’elettricità e 1,4 per il gas) se il barile puntasse stabilmente a 150 dollari.

Gli "energivori", naturalmente, sarebbero i più penalizzati e dunque più esposti ai brividi di una nuova crisi di matrice energetica: siderurgia, vetro, cemento ma anche ceramica, chimica, carta, alluminio, laterizi. Emblematico l’allarme lanciato dall’Aicep (associazione italiana consumatori energia di processo), che stima un sovracosto da 15 milioni per ogni aumento di un euro del chilowattora per gli associati, che rappresentano il 10% dei consumi industriali e il 5% dei consumi totali del nostro paese.

Paolo Culicchi, presidente di Gas Intensive (il consorzio delle associazioni industriali che più dipendono dalle forniture di energia) si augura caldamente che i messaggi relativamente tranquillizzanti lanciati dal governo e dell’Eni vengano confermati dai fatti, e che le fiammate delle ultime ore siano solo frutto di «speculazioni che dobbiamo assolutamente escludere». Perché «un qualsiasi aumento del prezzo del gas per i nostri settori, già oberati da un prezzo più alto dei competitor europei, sarebbe letale».

Anche le singole associazioni degli industriali si mostrano preoccupate dei recenti aumenti energetici. Per Giuseppe Pasini, presidente di Federacciai, «anche se non abbiamo ancora risentito dei rincari, in quanto le scorte sono ancora alte, se questi dovessero perdurare, potrebbero esserci dei problemi seri, dato che non sappiamo bene quanto ampie siano le riserve. Non vorrei inoltre che il movimento al rialzo dei prezzi del greggio generasse inflazione. C’è inoltre da considerare – continua Pasini – che nel mondo ci sono dei player che si sono affacciati recentemente: i paesi asiatici. I rialzi dei prezzi energetici potrebbero generare dei contraccolpi negativi per queste grandi economie, che potrebbero riflettersi anche su di noi. Comunque, la situazione è a tutt’oggi instabile, non è possibile dare numeri precisi».

Più prodigo di numeri Massimo Medugno, direttore di Assocarta: «In totale, il nostro settore ha un fatturato di 6,9 miliardi di euro, per una produzione che assomma a 9 milioni di tonnellate. Si può stimare che l’energia incida, in media, per il 20-25% circa. Quindi il costo energetico può essere valutato intorno ai 178 euro per tonnellata di prodotto. Se aumenta del 10 o del 20% avremo rispettivamente un costo di 196 o 215 euro circa. I numeri sono freddi, ma evidenziano che è necessario aumentare le reti di interconnessione energetiche con gli altri paesi europei e puntare su altre fonti, come gli impianti di rigassificazione».

Nicola Zampella, responsabile dell’ufficio studi di Aitec, Associazione italiana tecnico economica cemento, sottolinea come «l’energia incida per il 40% circa sul costo alla produzione del cemento. Nei primi mesi del 2011, la bolletta energetica ha superato i livelli record raggiunti nel 2008 e l’attesa è di ulteriori aumenti. Solo negli ultimi tre mesi, da novembre 2010 a gennaio 2011, il costo del pet-coke, principale combustibile utilizzato nell’industria, è salito del 25%. Le conseguenze sul settore sono difficilmente prevedibili. Certo è che l’utilizzo di fonti energetiche alternative, largamente usate in altri paesi europei, potrebbe migliorare l’impatto sul settore».

Angelo Bonsignori, direttore generale di Federazione gomma plastica, sottolinea come «gli aumenti dei prezzi del greggio pesino molto sul settore, dato che a grandi linee, il costo delle plastiche si divide in un terzo per quanto riguarda le materie prime (la plastica è un prodotto di trasformazione del petrolio, che quindi incide pressoché per il 100%), per un terzo di costi energetici e per il terzo restante di manodopera».

«Già nel corso del 2010 - precisa la Federazione in una nota – i principali polimeri hanno avuto in media quotazioni di oltre il 35% maggiori rispetto a quelle del 2009, e nelle ultime settimane la disponibilità di materie prime plastiche è ulteriormente diminuita, con prezzi che hanno preso a salire velocemente. Lo squilibrio temporale fra la crescita dei costi e l’adeguamento, in corso, dei prezzi del prodotto finito comprime ulteriormente margini già risicati».

Piero Luzzati, direttore generale di Confetra, Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica, specifica che «nel nostro settore, il prezzo del gasolio agisce per il 28-30% sul prezzo finale della prestazione. In un anno il prezzo del gasolio alla pompa è cresciuto di circa il 20%, il che ha portato il costo alla prestazione a crescere di circa il 6%. In realtà, nell’ultimo anno questo ha comportato una riduzione di circa l’1% dei margini operativi; questo anche perché la quantità di merci trasportate ha subito un calo del 3%».