Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 24/02/2011, 24 febbraio 2011
UN INTERVENTO IN LIBIA COSTI E PROSPETTIVE
Gheddafi sta bombardando il suo stesso Paese pur di non lasciare il potere. A questo punto non pensa che sarebbe il caso che l’Europa (Italia compresa) prendesse seriamente in considerazione l’opportunità di un intervento militare a difesa della popolazione? Dopo aver vergognosamente incensato il dittatore per troppi anni, sarebbe un modo per salvare almeno la faccia.
Gaetano Calenzano
gaetano. calenzo@gmail. com
Caro Calenzano, ho ricordato su questa pagina, qualche giorno fa, una conversazione del 1920, durante l’occupazione delle fabbriche, fra Giovanni Giolitti e Giovanni Agnelli. L’amministratore delegato della Fiat chiese al presidente del Consiglio di provvedere all’evacuazione dell’azienda, presidiata dagli operai, e Giolitti rispose che avrebbe inviato sul posto un reggimento d’artiglieria. Anch’io le risponderò che un intervento militare per ragioni umanitarie è possibile. Ecco, per grandi line, come dovremmo procedere. Bisognerà anzitutto costituire, insieme ai nostri alleati europei, un corpo di spedizione composto da non meno di trentamila uomini. Non conosciamo la consistenza delle forze armate libiche e non sappiamo quanto siano effettivamente fedeli a Gheddafi. Ma esistono le milizie, su cui il Colonnello ha fondato il suo sistema di potere, e occorre distribuire le forze d’intervento su un territorio particolarmente vasto. Avremo bisogno dell’aviazione naturalmente, non soltanto per i voli di ricognizione, e occorrerà mobilitare la flotta per impedire che i seguaci di Gheddafi ricevano aiuti dall’esterno. È probabile che i nuclei fedeli al Colonnello preferiscano evitare gli scontri in campo aperto, dove correrebbero il rischio di essere rapidamente sconfitti. Preferiranno combattere una guerra di guerriglia con azioni di disturbo, imboscate, incursioni notturne, attacchi terroristici. Avremo quindi bisogno di un buon servizio d’intelligence, capace d’infiltrare le tribù e di raccogliere informazioni. Per neutralizzare i nostri nemici dovremo fare arresti, sottoporre gli arrestati a stringenti interrogatori, disporre di interpreti e informatori, organizzare luoghi di detenzione. Subiremo inevitabilmente un certo numero di perdite. Il nostro intervento umanitario non avrebbe alcun senso, naturalmente, se non aiutassimo i libici a costruire un sistema democratico. Occorrerà appoggiare la nostra azione sugli oppositori di Gheddafi che diano prova di maggiore esperienza e serietà, ma non sarà facile individuarli. I nostri governi conoscono gli esuli, che vivono all’estero da molti anni e hanno spesso perduto il contatto con il loro Paese. Ma l’opposizione interna, con cui abbiamo avuto contatti molto più rari, ci è quasi sconosciuta. Nel frattempo è pressoché inevitabile che una forte presenza militare straniera sul territorio susciti una reazione nazionalista nella società locale e soprattutto nel mondo complicato e mal conosciuto delle tribù. Quanto più resteremo in Libia tanto più saremo considerati occupanti. Ma non potremo voltare le spalle a un Paese liberato e andarcene da un giorno all’altro senza lasciare che precipiti nuovamente nel caos. Termino, caro Calenzano, completando la storia della conversazione fra Giolitti e Agnelli. Quando il presidente del Consiglio annunciò l’arrivo dell’artiglieria, l’industriale ritirò la sua richiesta e si preparò ad aspettare che il tempo e la politica risolvessero il problema della sua azienda.
Sergio Romano