Antonio Debenedetti, Corriere della Sera 24/02/2011, 24 febbraio 2011
LA PASSIONALE FEMMINILITA’ DI ELSA
Nei romanzi della Morante c’è la presenza intimidente del talento, nei ricordi degli amici di Elsa c’è una donna che avrebbe voluto essere un poeta-ragazzo, nell’epistolario adesso in preparazione (e di cui si da qui per la prima volta notizia) i lettori troveranno finalmente Elsa scrittrice e donna. Ecco l’importanza decisiva della raccolta, ricca di circa 4.000 pezzi fra lettere, abbozzi e minute di lettere, che qualche giorno fa ho avuto il privilegio di vedermi squadernare davanti dal loro appassionato custode e curatore Daniele Morante. Questo insospettato patrimonio d’inediti, a tratti leggibile come una preziosa autobiografia involontaria, ci dice molto che non potevamo sapere sulla maggiore scrittrice del nostro novecento e aiuterà a conoscere un milieu letterario romano sporcato da troppi insulsi pettegolezzi. Aumenterà così il numero di quanti, una volta pubblicate queste pagine epistolari, si decideranno a parlare di «morantiani» e non solo più di «moraviani» . Lo ripeto a Daniele Morante, scrittore e linguista oltreché erede del copyright di Elsa insieme con Carlo Cecchi e Tonino Ricchezza, per sostenerlo nella fatica. Proprio con Cecchi è nata, tiene a sottolineare Daniele, l’idea dell’epistolario. «Accingendomi all’impresa, non mi rendevo conto dei problemi cui sarei andato incontro» sottolinea con stanchezza. E il suo stato d’animo si può capire. Da quattro anni Daniele lavora infatti a raccogliere, ordinare, schedare ogni rigo della nutrita corrispondenza della sua geniale zia. Finito il lavoro di raccolta, lo aspetta adesso quello non meno impegnativo della cernita. Quale criterio userà nella selezione? «Vorrei, attraverso le lettere, far capire quali furono i meccanismi amorosi che suscitarono intorno a Elsa fenomeni di vera e propria devozione» mi dice. L’idea è bella e cattura. Deciso a tutelare la natura segreta dell’autrice di Menzogna e sortilegio, Daniele mi fa vedere e non mi fa però leggere alcune perle del carteggio. In qualche caso, poi, mi lascia leggere ma mi chiede di non citare. Non vuole guastare l’effetto d’insieme, quando tutto sarà pubblicato: ci sono documenti epistolari relativi a Moravia, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Natalia Ginzburg, Paolo Volponi, Leonor Fini, Italo Calvino e Tommaso Landolfi. I corrispondenti, fino a arrivare a Goffredo Fofi e Adriano Sofri, sono comunque moltissimi, citarli tutti sarebbe davvero impossibile. Che dire? A quanto ho potuto constatare Elsa si racconta, si analizza con una intensità che la poesia, inseparabile dalle sue parole, fascia sempre d’un pudore che non soffoca tuttavia una comunicativa passionalità. Obbedisco di malavoglia a Daniele davanti a una pagina, lasciata inconclusa, dove la giovane Morante scriveva (la lettera non fu poi spedita) a un giovane Moravia forse più impaziente che innamorato. Viene fuori, in quella minuta, una femminilità tempestosa, un temperamento singolare. Daniele mi autorizza a riportare solo un frammento di quello scritto indispensabile a ricostruire un menage dal peso più che rilevante nella storia letteraria del nostro ventesimo secolo. Elsa dichiara: «So di essere piena di cose volubili, fisiche, non chiare e forse quelli che a te sembrano dei segreti... sono soltanto ombre del mio carattere» . Tre righe appena che, a saperle leggere, nascondono però un bellissimo perché complicato racconto d’amore. Più avanti mi capita sotto gli occhi la «brutta» d’una lettera di molti anni dopo. Era scritta per Luchino Visconti, cui non venne tuttavia inoltrata. Vi si legge fra l’altro: «Senza tutto quel tuo feudalesimo tu saresti stato per me molto più bello» . Mai, stando a quanto ho potuto vedere, c’è l’ombra di un pettegolezzo. Elsa affida alla sua corrispondenza, non di rado destinata a rimanere segreta come un dialogo tra sé e sé giudizi critici molto severi o viceversa molto generosi quando in un’opera scorga il segno d’un autentico destino d’artista. Così, dopo aver letto Sipario ducale di Volponi, rimproverando garbatamente a quel nobile e complicato scrittore d’aver inviato il libro a Moravia e non a lei, gli dice tutto il suo entusiastico consenso. Parla senza remore di evento letterario e di sicura grandezza. Che dire in conclusione? «Elsa sa essere come nessuno amica dei suoi amici» ripeteva un critico che l’aveva conosciuta molto giovane e l’epistolario, che qualche studioso straniero già reclama, lo confermerà pienamente.
Antonio Debenedetti