Antonio Carioti, Corriere della Sera 24/02/2011, 24 febbraio 2011
LA RIVOLUZIONE CHE NON CI FU. IL SOGNO SMARRITO DI ROSSELLI
Nell’Italia repubblicana Carlo Rosselli non ha mai goduto di grande fortuna: comunisti e cattolici ovviamente non lo amavano, ma anche il Psi rimase a lungo distante dal suo «socialismo liberale» volontarista e non marxista, con forti venature mazziniane, per cui l’emancipazione dei lavoratori doveva avere innanzitutto un carattere morale. I due maggiori tentativi di recuperare l’esule fiorentino come padre nobile, uno compiuto da Bettino Craxi negli anni Settanta, l’altro da Walter Veltroni quando era alla guida dei Ds, si dimostrarono effimeri. Erano dettati dalla ricerca confusa e affannosa di riferimenti nuovi, una volta accantonati quelli del passato, ma non avevano alle spalle riflessioni solide.
Qualcosa di serio si è visto invece di recente sul piano degli studi, per merito di autori come Mario Giovana (scomparso nel 2009), Paolo Bagnoli, Mimmo Franzinelli, senza dimenticare gli incontri annuali che si tengono a Torino sotto l’insegna «Cantieri dell’azionismo» , dove si dibatte regolarmente di Giustizia e Libertà (Gl), il movimento antifascista creato nel 1929 da Rosselli e poi confluito dal 1942 nel Partito d’Azione.
A tutto ciò si aggiunge ora Nicola Tranfaglia, con l’opportuna iniziativa di riproporre e completare un lavoro uscito nel 1968 da Laterza. Il suo Carlo Rosselli dall’interventismo a Giustizia e Libertà, che si chiudeva con la fuga del protagonista dal confino di Lipari e la fondazione di Gl, confluisce ora nel nuovo Carlo Rosselli e il sogno di una democrazia sociale moderna (B. C. Dalai editore) che si spinge fino all’assassinio del dirigente antifascista, trucidato a Bagnoles de l’Orne nel 1937, assieme al fratello Nello, promettente storico, da sicari francesi di estrema destra aizzati dal governo di Roma.
In particolare Tranfaglia, nella parte nuova del libro, evidenzia il motivo principale della scarsa influenza esercitata dal giellismo dopo la guerra. Il movimento di Rosselli, scrive, fu «un’esperienza di autentica rottura rispetto all’Italia prefascista» e «di profondo contrasto con il bolscevismo leninista e poi staliniano» . Il suo programma prevedeva una netta discontinuità rivoluzionaria non solo rispetto al fascismo, ma anche nei riguardi dell’assetto sociale che aveva prodotto la dittatura. «Sul piano della vecchia vita italiana e dei vecchi valori — scriveva Rosselli nel 1936 — per noi è inconcepibile non solo l’agire, ma l’esistere. O si arriva a una sovversione profonda; o, a meno di non rassegnarsi a diventare dei miserabili politicanti, è meglio allevar conigli o professar storia all’estero» .
Il regime di Benito Mussolini non cadde però travolto da un moto insurrezionale interno, come immaginava e sperava Rosselli. Fu abbattuto da una congiura di palazzo, il 25 luglio 1943, in seguito alle ripetute sconfitte militari. A liberare l’Italia furono soprattutto le armate angloamericane e nello stesso schieramento della Resistenza militarono anche forze che in precedenza si erano alleate o comunque avevano accettato di convivere con il fascismo. L’idea della «rivoluzione democratica» perseguita dal Partito d’Azione (peraltro assai diviso circa i lineamenti che essa avrebbe dovuto assumere) fece dunque poca strada, tanto più che perfino i comunisti accettavano, almeno in via provvisoria, la prospettiva della continuità, preoccupati di legittimarsi in un Paese che — a Palmiro Togliatti era ben chiaro — difficilmente sarebbe sfuggito alla sfera d’influenza occidentale.
L’innegabile sconfitta storica dell’ipotesi politica giellista non basta tuttavia a squalificare le idee che l’animarono. Anzi Tranfaglia ne sottolinea l’attualità, correggendo di fatto il giudizio un po’ limitativo espresso nel 1968 sul libro in cui Rosselli, nel 1930, faceva i suoi conti con Marx, Socialismo liberale. La «crisi della democrazia occidentale» su cui rifletteva il leader di Gl era certo diversa dalle difficoltà di oggi, ma l’esigenza di conciliare libertà individuali e giustizia sociale resta un nodo irrisolto.
Antonio Carioti