Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 23/02/2011, 23 febbraio 2011
GENERALI, L’EFFETTO DEL VECCHIO E LE TENSIONI TRA I SOCI PRIVATI
Il consiglio delle Generali, che si riunisce oggi a Roma, archivierà la richiesta di vendere la partecipazione in Rcs, avanzata da Diego Della Valle e lasciata cadere dal presidente Cesare Geronzi nell’intervista al Financial Times. Non potrebbe essere diversamente dacché, martedì 16 febbraio, sia Della Valle sia Geronzi hanno confermato, assieme agli altri soci, il patto di sindacato della casa editrice. D’altra parte, il pacchetto Rcs pesa per 22 milioni su oltre 400 miliardi di investimenti della compagnia e le quotazioni non sono oggi favorevoli alla vendita. Ma l’aver ridimensionato la questione editoriale e disinnescato eventuali polemiche su Telecom Italia andando verso la riconferma di Franco Bernabé, non basta a dar pace al gruppo assicurativo di Trieste e alla sua presidenza. Dopo le esternazioni del signor Tod’s, consigliere indipendente, le dimissioni di Leonardo Del Vecchio, consigliere e socio al 2%di Generali, scavano un vuoto. Il patron di Luxottica, è vero, non aveva mai sollevato questioni negli organismi ufficiali. E quando Angelo Miglietta, consigliere indicato dalla Fondazione Crt e dalla vicentina Palladio, pose il problema delle retribuzioni, Del Vecchio lasciò correre. Ma non è meno vero che la nomina di Geronzi a presidente era stata subìta dal grande industriale veneto. Ed è ancor più vero che proprio Del Vecchio aveva contribuito, con Francesco Gaetano Caltagirone, Lorenzo Pellicioli, Palladio, Crt e Mediobanca, a togliere alla presidenza le deleghe, che aveva durante la stagione Bernheim, per assegnarle all’amministratore delegato capo azienda. Indicare al quotidiano inglese le banche e il Ponte di Messina quali possibili investimenti di sistema è stato giudicato uno sconfinamento dai ruoli statutari. Per Del Vecchio, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Lo stesso management di Generali, del resto, è rimasto stupito, perché le operazioni di sistema -che si dicono tali perché in perdita, altrimenti si chiamano affari -non sono più gradite dall’azionariato. Dalle banche, poi, la compagnia sta uscendo perché non vuole impegnare risorse nella loro ricapitalizzazione. E l’acquisizione, malvista da alcuni soci, dell’ 1%della russa Vtb è presentato come un mero biglietto d’ingresso in Russia. Per Geronzi, che ama presentarsi come uomo di sintesi e garanzia, l’uscita di Del Vecchio apre un problema: un conto è contrastare Della Valle nel gioco del potere, un altro arginare l’informale mozione di sfiducia di un investitore puro con la storia imprenditoriale di mister Luxottica. Il campanello d’allarme ora squilla per tutti. In Generali, il presidente non ha gli appoggi di cui disponeva in Capitalia, dove orientava il credito e capeggiava un sindacato azionario formato per lo più da clienti della banca. Diversamente dalla Mediobanca storica, dove i banchieri tenevano in pugno gli azionisti, capitalisti senza capitali, gli assicuratori di Generali possono tessere pochi intrecci: il ceco Kellner, il vicentino Meneguzzo. Geronzi e Perissinotto hanno ottenuto i voti e i ruoli, ma sono sempre sotto esame da parte di azionisti che pretendono risultati e coinvolgimento reale nelle scelte. Nel silenzio stentoreo di Mediobanca, le dimissioni di Del Vecchio vengono lette in vario modo. Dal gruppo De Agostini, dove Pellicioli ha inutilmente tentato di far rientrare il dimissionario, si individua in Geronzi il bersaglio polemico. Dal gruppo Caltagirone, dove il leader ha prontamente espresso il suo dispiacere e non nasconde l’irritazione per le parole dette al Financial Times, arriva un’interpretazione più ampia, che estende anche a Perissinotto le ragioni del malcontento. Il chiarimento sulle partecipazioni, introdotto dalla relazione di Perissinotto, porterà probabilmente a un monitoraggio frequente, magari a scadenza annuale, delle decisioni e della rappresentanza della compagnia laddove il coinvolgimento è maggiore come in Telecom, Pirelli, Rcs, Mediobanca. Ma il nodo di fondo resta il passo della compagnia. La capitalizzazione di Borsa di Generali, 25 miliardi, supera i mezzi propri, 18 miliardi, mentre Axa vale 34 miliardi avendo un patrimonio netto di 49 e Allianz ne vale 47 avendo un patrimonio di 45. Ed è vero che la stazza di Generali è quasi tutta autofinanziata, mentre le due i rivali hanno fatto pesanti aumenti di capitale, ma questo non consola chi, come i nuovi azionisti, in forte perdita sul proprio investimento, sogna il colpo di reni per recuperare.
Massimo Mucchetti