Pierluigi Battista, Corriere della Sera 23/02/2011, 23 febbraio 2011
DI FRONTE AL BARATRO, IL RANTOLO DEI DITTATORI
Prima di sprofondare nel baratro, il dittatore sbraita, minaccia, inveisce, insulta. Non è un crepuscolo, ma una notte che piomba improvvisa e lascia il tiranno solo di fronte al destino. Il teatro di Gheddafi è il palcoscenico di una fine apocalittica e corrusca. Nella retorica dell’ultimo discorso, non tutti i despoti hanno però rinunciato a un ultimo soffio di dignità. Quello del satrapo di Tripoli è invece un miscuglio di terrore, di sfrontatezza. E di puerile vanità ferita. Le dittature vivono sempre nell’incubo del tradimento. Nelle dittature che finiscono e collassano, il traditore che si acquatta e colpisce alle spalle chi fino a un attimo prima sembrava onnipotente e invulnerabile assume le fattezze gigantesche che gli regala la paranoia politica dei totalitarismi. E’ dappertutto. Nascosto. Mimetizzato nel migliore dei modi per portare il suo terribile agguato. I manifestanti di Bengasi e di Tripoli sono per Gheddafi degli osceni «ratti» che fanno del tradimento la loro insegna. Ma è proprio dei dittatori che crollano non prendere in considerazione i propri errori e scaricare ogni nefandezza sul «traditore» . Figurarsi nell’ultimo discorso, quello che passerà alla storia. Quello di Benito Mussolini al teatro Lirico a Milano, nel livido inverno del ’ 44, ha come tema proprio questo: chi sono i traditori. Traditori dell’Italia, secondo il Duce alla vigila della sua fine. Traditori di quel Duce, in realtà. E mentre al Lirico Mussolini spargeva patetiche bugie sulle forze della Rsi («le forze armate tedesche sono in fase di crescente sviluppo e di potenza» ), chiamava a raccolta gli ultimi fedelissimi del Partito («un ordine di combattenti e di credenti, un organismo di assoluta purezza politica» ), esortava alla disperata battaglia finale adoperando il lessico di una vittoria impossibile («serrare i ranghi per riprendere a marciare» ), da ogni riga di quel discorso traspare l’angoscia del nemico nascosto che ha inferto il colpo infame: «Chi ha tradito?» . Già, chi aveva tradito? Il dittatore non può pensare di finire se non per via del tradimento più losco. Del resto fa sempre paura, il tiranno al suo ultimo discorso. In quello di Gheddafi c’è qualcosa di esibizionisticamente patetico, come è nelle corde di quel personaggio che assomma il massimo della ferocia con il massimo dell’istrionismo. Nel dittatore in ceppi, fa capolino invece l’energica fermezza di chi ha già perduto tutto, ma non vuole darla vinta al nemico trionfante. Come nello sguardo dardeggiante di Saddam Hussein davanti al tribunale che lo condannerà a morte: un discorso di fierezza per compensare la vergogna di un arresto spettacolare nella fetida botola in cui il dittatore sconfitto fu ritrovato, e dell’umiliante ispezione cui venne sottoposto dai carcerieri. Oppure nell’orgogliosa cravatta con i colori serbi che Slobodan Milosevic sfoderò dinanzi ai giudici di Una Corte internazionale di cui non riconosceva legittimità alcuna. Persino Erich Honecker nel discorso davanti ai suoi giudici parve riscattare un altro ultimo discorso: quello che tenne nell’ottobre dell’ 89 per celebrare l’anniversario della nascita della Germania comunista. Un discorso insipido e incolore, giocato sull’ordinaria amministrazione, scandito senza nessuna enfasi sulla retorica stanca di un regime oppressivo e mummificato nel suo lessico vuoto e menzognero. Un discorso totalmente inconsapevole di essere l’ultimo ad essere pronunciato con il muro di Berlino ancora in piedi: solo dodici giorni dopo partirà la rivolta che metterà fine alla dittatura, e Honecker non si era accorto di nulla. Proprio lui, a capo di un regime così terrorizzato dalla sindrome del tradimento da sguinzagliare un esercito di spioni e delatori della Stasi per stanare i traditori del socialismo. Come Ceausescu, la cui milizia di pretoriani spietati si chiamava Securitate, anziché Stasi come quella della Germania dell’Est. L’ultimo discorso di Ceausescu resterà davvero nella storia. Si possono rivedere su You-Tube i momenti tragici e insieme patetici di quella svolta storica. Ceausescu che parla dal balcone il 21 dicembre dell’ 89. I primi fischi. Il volto del tiranno stupefatto e incredulo. I colpi d’arma da fuoco mentre il dittatore, nella Romania colpita dalla strage di Timisoara, recita la litania sulle «grandi realizzazioni del socialismo» e poi le immagini che si fermano. Il discorso del dittatore che sta per schiantare si interrompe. E le immagini riprenderanno il dittatore e la moglie Elena, sprezzante e autoritaria anche sul banco degli imputati, in quel processo-farsa che i golpisti figli del comunismo di Bucarest allestiranno prima della duplice esecuzione sommaria. Una finta rivoluzione per una vera barbarie: il discorso interrotto di Ceausescu non ne fu che l’antefatto. E non sempre i dittatori hanno avuto il privilegio di un ultimo discorso sull’orlo dell’abisso. Non abbiamo visto Hitler asserragliato nel suo bunker prima della disfatta. E nemmeno Lenin imprigionato nella demenza che ne accompagnò la dipartita. Abbiamo ora i proclami del dittatore libico che abbaia la sua incontenibile rabbia contro il mondo. Una parodia, se non fosse invece l’acme di una tragedia cruenta. The last show.
Pierluigi Battista