Alberto Alesina, Il Sole 24 Ore 24/2/2011, 24 febbraio 2011
LO SVILUPPO E LA FAME DI DEMOCRAZIA
Il mondo è stato colto di sorpresa dagli eventi in Nordafrica e in Medio Oriente: pare che un’insurrezione in Egitto non fosse considerata in nessuno scenario discusso dal dipartimento di Stato americano. È vero che è molto difficile prevedere quali nazioni insorgeranno contro i propri dittatori per ottenere più democrazia; ci sono però due variabili che storicamente sono correlate alla democratizzazione: il reddito pro capite e il livello d’istruzione medio del paese.
Già Aristotele aveva teorizzato che lo sviluppo economico è la condizione necessaria per una democrazia stabile, e la storia gli ha dato ragione. Sono stati i paesi più avanzati economicamente a diventare democrazie prima di altri. Tentativi di democratizzazione in paesi molto poveri invece non hanno funzionato. Per esempio, quando negli anni 50 l’Africa subsahariana diventò via via indipendente, i regimi democratici imbastiti dagli ex colonizzatori non resistettero. Quasi tutti divennero dittature proprio perché il livello di sviluppo di quei paesi non era sufficiente a mantenere istituzioni democratiche. Ovviamente la storia non procede linearmente e ci sono state fasi storiche anche con paesi che hanno abbandonato la democrazia: si pensi solo al periodo tra le due guerre mondiali. Vi sono poi eccezioni alla regola, come l’India: una democrazia che è tale fin da tempi in cui questo paese era poverissimo.
Ma in generale la democrazia va a braccetto con lo sviluppo economico: il secondo rende la prima pressoché inevitabile. Alla fine lo sviluppo e l’istruzione non sono compatibili con regimi dittatoriali soffocanti. Redditi pro capite più alti, ben sopra il livello di sussistenza, incoraggiano attività economiche più sofisticate, che richiedono più libertà d’azione e mercati più liberi e meno controllati dalle élite vicine alla famiglia del dittatore. Un aumento del livello medio d’istruzione rende sempre meno tollerabile la censura e la mancanza di libertà di espressione, di partecipazione e di critica.
È ovvio che molti altri fattori intervengono e per dati livelli di sviluppo è difficile prevedere quale paese insorgerà prima. Sicuramente, però, i paesi nordafricani e mediorientali (anche per il loro petrolio) hanno raggiunto livelli di sviluppo tali per cui la mancanza di democrazia comincia a essere un vincolo pesante.
In un certo senso, quindi, è naturale che paesi come l’Egitto, la Tunisia, il Bahrein, la Libia e forse persino l’Iran insorgano. E sono le classi medie in questi paesi a essere particolarmente presenti in queste insurrezioni. Sono abbastanza ricche e istruite per apprezzare, appunto, i benefici della democrazia.
Oltre agli altri dittatori mediorientali, che saranno probabilmente terrorizzati da quanto sta accadendo, vi è un altro regime che osserva da vicino gli eventi: quello cinese. Il regime in quel paese sopravvive, si dice comunemente, grazie alla straordinaria crescita economica, per cui i cinesi pensano a diventare ricchi e non alla democrazia. Vero, nel breve periodo. In realtà la crescita economica è un’arma a doppio taglio per il regime di Pechino. Alla fine lo sviluppo economico dei cinesi li renderà meno tolleranti delle limitazioni alla loro libertà. Una transizione verso la democrazia è inevitabile. L’incognita è se sarà una transizione relativamente pacifica o violenta.