RAFFAELLO MASCI, La Stampa 24/2/2011, 24 febbraio 2011
Quanti sono gli immigrati? - L’Europa ci chiede di gestire autonomamente i possibili sbarchi di massa sulle nostre coste, perché abbiamo meno immigrati di altri Paesi
Quanti sono gli immigrati? - L’Europa ci chiede di gestire autonomamente i possibili sbarchi di massa sulle nostre coste, perché abbiamo meno immigrati di altri Paesi. E’ così? L’osservazione dell’Europa è giusta ma non è completa. In effetti l’Italia è, tra i grandi Paesi comunitari, quello che ha una percentuale più bassa di stranieri sul proprio territorio, ma è anche quella che - insieme alla Spagna - ha conosciuto l’incremento più forte negli ultimi anni. Quali sono, esattamente, i numeri? Gli stranieri in tutta Europa sono 32 milioni, secondo il Rapporto sull’immigrazione presentato ieri pomeriggio dal ministro Maurizio Sacconi. In termini percentuali questa cifra equivale al 6,4% della popolazione. La distribuzione, però, è molto differente: fatto 100 il totale degli stranieri nella Ue, il Germania ce ne sono 22, in Spagna 17, in Gran Bretagna 13, in Italia 12 e in Francia 11. Se invece osserviamo le percentuali rispetto alle rispettive popolazioni, in Germania sono l’8,8%, in Spagna il 12,3%, in Gran Bretagna il 6,8%, in Italia il 6,5% e in Francia il 5,8%. Noi siamo in grado, quindi, di assorbire ancora un alto numero di stranieri? Non esattamente. Intanto va detto che il numero degli immigrati è cresciuto quasi ovunque in maniera graduale, mentre da noi l’impennata si è concentrata negli ultimi anni: tra il 2000 e il 2009 siamo passati dal 2,2% al 6,5% rispetto al totale della popolazione il che, in numeri assoluti, vuol dire da 2 a 4,3 milioni. Il fenomeno è avvenuto solo in Italia? No, anche in Spagna. Anzi, lì la crescita è stata ancora più impetuosa, passando dal 2% della popolazione del 2000, al 12,3% del 2009. Come vengono affrontati in Europa i problemi di convivenza tra culture diverse? L’Europa ha sempre oscillato tra il modello del multiculturalismo e quello dell’assimilazionismo. Il primo - dichiarato fallimentare sia dal premier britannico David Cameron che dal presidente francese Nicolas Sarkozy - consiste nel promuovere la convivenza parallela e senza interferenze, tra tutte le culture. Ma questo genera separazione crescente tra i vari gruppi e un sostanziale relativismo che non consente di prendere delle decisioni sulla base di un interesse collettivo. Che cos’è, invece, l’assimilazionismo? E’ il contrario del multiculturalismo: tu sei venuto in un paese straniero, qui vige una certa cultura e ti devi adeguare, senza troppe mediazioni. Dove questa politica è stata applicata ha generato conflitti molto forti. Ovviamente nessun paese si è attenuto strettamente ad uno di questi modelli, ma ovunque si è cercato di calibrare le politiche sulle esigenze che, di volta in volta, si sono manifestate. Quale politica ha praticato l’Italia? Il ministero del welfare ha optato per un piano denominato «Identità e incontro» che punta ad una «integrazione nella sicurezza». In concreto si cerca di rispettare le varie identità e di promuovere un dialogo tra esse, puntando sulla scuola, sulle politiche abitative e del lavoro, sull’accesso ai servizi sociali, eccetera. Insomma si cerca di far vivere gli stranieri con delle regole italiane ma senza cancellarne l’identità culturale. Se questo modello sarà efficace lo diranno i fatti ma solo tra un certo numero di anni. E se dovesse scoppiare la crisi libica e riversare su di noi una massa gigantesca di profughi? Il ministro Umberto Bossi ha minacciato di riversare questo flusso straordinario oltre le frontiere, verso Francia e Germania se l’Europa non si farà carico di questa emergenza (che ancora, peraltro, non si è manifestata). Il governo, comunque, ha istituito una unità di crisi per affrontare l’evenienza. E’ indubbio che l’impatto di una simile migrazione biblica, toccherà a noi, almeno negli aspetti umanitari di accoglienza e in quelli più politici di identificazione. Dopo di che è probabile che molti immigrati decidano, autonomamente, di puntare su altri paesi comunitari, e quindi la pressione si potrebbe gradualmente allentare. Dobbiamo pensare ad una Europa sempre più invasa da immigrati? Secondo i dati forniti ieri dal rapporto sull’Immigrazione, dopo una impetuosa crescita della popolazione straniera tra il 2000 e il 2009, si sta assistendo ora ad un assestamento: se prima entravano circa 300 mila immigrati l’anno, dal 2009 e fino al 2014, ci si dovrebbe assestare intorno al 100 mila l’anno. Dopo di che - cioè dal 2015 fino al 2020 - tutto dipende dall’evoluzione della crisi perché, se anche l’economia si dovesse rimettere in marcia, ci sarebbero molti disoccupati italiani da riassorbire. Una stima prudenziale - tuttavia - indica in 260 mila unità l’anno la richiesta di manodopera straniera.