Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 24 Giovedì calendario

UN ANNO DI RIEDUCAZIONE PER UNA BATTUTA SU TWITTER - È

stata arrestata in Cina il giorno del suo matrimonio per una battuta scambiata su Twitter. L’episodio ha visto protagonista Cheng Jianping, giornalista, condannata a un anno di rieducazione attraverso il lavoro. Cioè ai lavori forzati. La sua colpa è stata quella di scrivere una breve frase sul sito americano: «Forza, giovani in collera, muovetevi! Andate!».

Ella si rivolgeva ai giovani nazionalisti del suo paese, che il governo aveva lasciato manifestare a Pechino per protestare contro l’abbordaggio, da parte del Giappone, di una nave cinese al largo dell’arcipelago di Senkaku, nel Pacifico, oggetto di disputa tra le due nazioni.

Hua Chunhui, compagno della Jianping, dice che lo sciovinismo è insopportabile e che ha postato un messaggio su Twitter per ridicolizzare questi nazionalisti incoraggiati dalle autorità. Se essi sono davvero sinceri, ironizza Chunhui, perché non si riferiscono al padiglione giapponese dell’Expo di Shanghai? Cheng ha nuovamente postato questo messaggio aggiungendo un tocco di ironia. Che, però, non è stato apprezzato da Pechino, che ha condannato la mittente al carcere.

Decine di internauti sono già stati presi di mira per avere espresso la loro opinione sui siti o sui blog, ma è la prima volta che ciò accade per l’utilizzatore di una messaggeria istantanea. Teng Biao, amico e avvocato di Cheng, parla di lei come della prima martire di Twitter. Ma non ci sarà clemenza, perché questo genere di sentenze, pronunciate da comitati formati da poliziotti, è inappellabile. Lavori forzati, dunque, che vedono impegnate in questo momento centinaia di migliaia di detenuti in circa 300 campi dislocati in tutta la Cina. Gli uomini costruiscono utensili di ogni genere e le donne si occupano del tessile. Cheng andrà a Zhengzhou, capitale della provincia di Henan.

La sentenza recita che la donna è stata condannata per comportamento illegale, caratterizzato da un tweet che incita gli internauti a recarsi a Shanghai per distruggere il padiglione giapponese. Negli ultimi anni, come giornalista, ella ha cercato di portare alla luce episodi poco chiari, come un omicidio commesso dal figlio di un ufficiale di polizia, che quest’ultima ha occultato. Così Cheng è stata presa di mira e il suo blog oscurato. E adesso la resa dei conti: un anno di lavori forzati. Pechino comincia a temere il passaparola del web, che ha infiammato l’intero Nordafrica e potrebbe fare da detonatore in altre parti del mondo.