Claudio Marincola, Il Messaggero 23/2/2011, 23 febbraio 2011
LA SFIDA DELLA CAPITALE, SFIDA PER L’INTERO PAESE
Quante possibilità ha oggi una città di ripensare la propria dimensione urbana? E un Paese di trasformarsi sulla scia delle sue città per offrire una nuova rappresentazione di se stesso? Le opportunità non sono molte, specie in tempi di crisi e le Olimpiadi passano, se tutto va bene, una volta ogni cent’anni.
Roma che prova a lanciare la sfida del 2020 non incarna dunque l’ambizione di una classe politica ma sposa un progetto di lungo periodo. Su questo a parole sono d’accordo tutti. Non tutti però hanno ben presente il quadro in cui questa sfida si colloca. E’ giusto chiedere di essere coinvolti, fare in modo che tutti si disputi la stessa partita. Anche perché chi oggi ha un ruolo distruttivo e mette i bastoni tra le ruote domani potrebbe essere chiamato a prendere egli stesso il testimone e a sostenere la candidatura. E viceversa.
Londra, Parigi, Madrid, Berlino le altre grandi capitali della vecchia Europa lo hanno capito. Sanno che la sfida di domani non sarà la prossima delibera del consiglio comunale bensì tenere il passo con le città globali. A partire dalle 20 città cinesi che tra una decina di anni avranno più di 10 milioni di abitanti e non vorranno starsene a guardare.
Le grandi metropoli sono entità mutevoli. Qualsiasi tentativo di fissarne idealmente i confini in modo permanente è destinato a naufragare. Non a caso, ieri, al Palazzo dei Congressi dell’Eur in tanti hanno fatto riferimento a quello che sta accadendo in questi giorni sulle altre sponde del Mediterraneo. Un riferimento alla molteplicità dei flussi. Al nuovo immaginario che non siamo in grado di prevedere.
«Nel mondo ci sono più di 700 città globali e in esse abita il 26% della popolazione mondiale - ha ricordato ieri agli Stati Generali, il presidente dell’Unione industriali di Roma, Aurelio Regina - più di un essere umano su 4, le prime 25 ospitano già oggi il 4,5% della popolazione mondiale e generano il 17% del Pil mondiale». Chi vuole che la Roma-Fiumicino - come ha detto ieri Roberto Colaninno, presidente di Alitalia - resti un collegamento da Terzo mondo, da farci arrossire tutte le volte che atterriamo a Shanghai, Parigi e Francoforte? C’è forse qualcuno che ha interesse a remare contro la realizzazione del secondo Polo turistico romano?
Chi non vuole il potenziamento del sistema intermodale, l’hub di Fiumicino, fattore strategico per tutto il Paese? O il rafforzamento qualitativo del sistema di assistenza medico-specialistica e dei punti di eccellenza pediatrica, primo su tutti il più grande d’Europa il centro del Bambino Gesù?
Il fuoco amico che affossò la candidatura romana del 2004 potrebbe insomma sfociare in un secondo più rovinoso harakiri.
Quanti altri treni passeranno dopo Roma 2020?
Mentre Bruno Vespa e il ministro Altero Matteoli ieri, durante la tavola rotonda seguita all’intervento del sindaco Alemanno si chiedevano quando sarebbe stata ultimata la terza corsia del Grande raccordo anulare - già ultimata, signor ministro, da tempo se si esclude una galleria finita sotto sequestro - a Mumbai si staccava un assegno pari a una nostra Finanziaria per potenziare la flotta aerea civile.
I punti interrogativi certamente non mancano. A partire dalla possibilità di attrarre gli investimenti dei privati previsti dal piano strategico di sviluppo. Qualcosa come 10,64 miliardi di euro. Il sistema produttivo e distributivo romano è in affanno, i consumi sono ai minimi, l’occupazione è in caduta. E in mancanza di una ripresa, non ci sono neanche le risorse per attrarre su Roma turismo e interesse.
Ecco spiegato perché Roma 2020 potrebbe rivelarsi un buon affare e converrebbe a tutti. Un volano economico con ricadute su tutta la filiera Italia. E al tempo stesso, ecco spiegato anche perché Roma - che non ce la fa neanche a ripianare il deficit delle sue municipalizzate - da sola non può accettare la sfida se non entra in gioco il cosiddetto “sistema Paese” .
Al netto della passerella dei ministri, degli sgambetti e dei colpi di gomito che in queste occasioni non mancano mai, il piano strategico di sviluppo costituisce una opportunità per tutti. Le stime parlano da sole: 12,4 miliardi di fatturato totale, con un impatto di 45, 4 miliardi di euro e 175 mila unità di lavoro generate.
Lo sforzo finanziario direttamente richiesto all’amministrazione capitolina è una frazione molto contenuta, eppure in questi momenti è uno sforzo titanico. Lo ha spiegato ieri il neoassessore capitolino al Bilancio Carmine Lamanda, uno che i conti li ha sempre fatti e li sa fare. Il Piano prevede nei prossimi dieci anni 11 miliardi di investimenti di pertinenza pubblica. La città sarebbe chiamata perciò a investire su stessa 2,7 miliardi, di cui circa 731 milioni già attivati da Roma capitale per opere programmatiche o già in corso di realizzazione. Vuol dire che l’investimento a carico delle casse del Campidoglio si aggira intorno a 1,9 miliardi sino al 2020, «un mutuo da 120 milioni l’anno», ha calcolato l’assessore.
Va da sé che non sempre le Olimpiadi hanno generato gli effetti balsamici di un centro benessere. L’esempio su tutti è la Grecia. E’ vero però anche il contrario. Senza i Giochi, senza partecipare, le sfide sono già perse in partenza.