Gampiero Mughini, Libero 22/2/2011, 22 febbraio 2011
ACCONTENTIAMOCI DELLE VACCHE MAGRE
Forse sì forse no, noi italiani usciremo dall’economia del tempo delle vacche magre, ma quando? Il fatto è che dobbiamo conviverci tutti i giorni con la penuria di risorse generali, con redditi (i nostri) che sono scesi e talvolta scesi di molto, con quel Babbo Natale chiamato Stato che in fatto di Welfare diffuso non ha più nulla da donare per farci stare buoni e contenti. Volenti o nolenti, ci dobbiamo attrezzare, le dobbiamo imparare le regole del tempo nuovo e feroce del dopo le vacche grasse, di quando “sprecavamo” a cuor felice.
Arriva dunque a pennello questo libro snello ed elegante di Antonio Galdo (Basta poco, Einaudi, pp. 168, euro 16,50), un giornalista e un saggista che sull’argomento del “non sprecare” è divenuto una voce autorevole. Una voce necessaria, quella dei suoi libri e del suo seguitissimo blog (www.nonsprecare.it), e tanto più in ragione della diabolicità del sistema di vita di un Paese a economia compless, un sistema dove ognuno di noi vede precipitare le sue entrate, mentre i costi ineliminabili del vivere continuano a impennarsi e mentre il fisco non molla di un centimetro la sua morsa asfissiante. Lo avete letto, è vero, che la tassa sui rifiuti è aumentata del 29% in pochissimi anni?
La lucidità di Berselli
E a non dire che fra poco, l’11 aprile 2011, scatterà il primo anniversario da quando se ne è andato uno degli intellettuali italiani più stimolanti, il modenese Edmondo Berselli, uno che aveva saputo suonare tutti i tasti del pianoforte intellettuale, dalla teoria politica alla musica leggera, dallo sport alla cultura popolare all’economia. Già malato del tumore che lo manderà a morte, aveva trovato la lucidità di scrivere un saggio breve e compatto, L’economia giusta, pubblicato da Einaudi nel settembre 2010, pochi mesi dopo la sua morte. Un saggio che Galdo cita nel suo libro e che chiudeva così: «Dovremo adattarci ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri. Ecco la parola maledetta: povertà. Ma dovremo farci l’abitudine. Se il mondo occi-
dentale andrà più piano, anche tutti noi dovremo rallentare».
Le parole un tempo impronunciabili o che immaginavi non avresti più pronunciato. L’avere meno soldi, l’essere più poveri, non farti stringere al collo dalle ossessioni di spesa e di consumo, farti bastare “il poco”, contare attentamente il denaro all’uscita perché ci pensano gli altri a contare attentissimamente i soldi che entreranno e se entreranno nelle tue tasche.
È ovvio, quel «basta poco» annunciato e promosso da Galdo nel suo libro è relativo alla condizione di partenza di ognuno di noi. Un professionista che guadagnava dieci ce la fa seppur bestemmiando a vivere con sette o fors’anche sei e mezzo. Un artigiano o una partita Iva o un negoziante che guadagnavano cinque ci riescono, seppure a stento, a scendere a tre e mezzo. Ma per uno a reddito fisso o un pensionato, che in tutto e per tutto disponevano di un reddito risicato, vederselo afflosciare fra le mani è una tragedia. La tragedia delle nuove povertà, una tragedia che sta storpiando l’identità della nostra civiltà.
Galdo esordisce così: «La Grande Crisi ha sparigliato il mercato dei consumi di massa,
introducendo sotto traccia un profondo cambiamento negli stili di vita, nelle tendenze, nelle mode». Altro che i patiti dello shopping compulsivo, qui c’è da stringere la cinghia di un paio di fori abbondanti. C’è da imparare e da far valere nella vita quotidiana nuove tecniche e nuovi valori. Tanto per dirne una, sì o no ciascuno di noi deve imparare a saper riparare il più possibile di ciò che gli si guasta in casa e che altrimenti richiederebbe l’intervento di qualcuno che devi pagare cash quanto un cardiochirurgo?
Gestire tempi e modi
E poi sapere gestire i tempi e i modi della propria giornata una volta che hai deciso che non tutto è riconducibile alla lotta più spasmodica per un euro in più di reddito, e che se fai una passeggiata di mezz’ora al giorno ne guadagna il tuo corpo e soprattutto la tua mente. E poi smetterla con le tonnellate di cibo che le società occidentali riversano ogni giorno nei bidoni della spazzatura, e laddove i nostri padri centellinavano anche la scorza del formaggio (lo raccontava Maurizio Ferrara, il padre di Giuliano, al tempo in cui gli feci una lunga intervista che divenne un libro).
Aver cura delle risorse naturali che non sono inesauribili, e ci vuole niente a chiudere il rubinetto dell’acqua mentre ti stai spazzolando i denti. E poi non farti abbindolare da nulla quando spendi, nemmeno dalle retoriche le più chic: Galdo scrive pagine felici sul fatto che nulla dimostra che il cibo “biologico” sia più salutare dell’altro, quel che è certo è che costa molto di più.
Basta poco. Purtroppo non è facile, non è così semplice. Io ci ho rinunziato senza ambasce a quel paio di giacche nuove che mi compravo ogni stagione, ma me la ricordo bene, pochi giorni fa, la faccia di chi lavora nel mio negozio prediletto e dove sono anche miei amici. «Qui non entra più nessuno», mi hanno detto. Proprio perché in molti pensano che “basta poco”, e che di una giacca nuova se ne può fare a meno. Epperò il proprietario di quel negozio da dove li prende gli euro con cui pagare cinque o sei stipendi mensili e dunque il sostantamento di cinque o sei famiglie italiane? Maledette vacche magre.