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 2011  febbraio 22 Martedì calendario

2 articoli - NELLA CITTA’ PERFETTA - TOTNES La città del futuro non somiglia per niente a Blade Runner e a nessun´altra metropoli della fantascienza

2 articoli - NELLA CITTA’ PERFETTA - TOTNES La città del futuro non somiglia per niente a Blade Runner e a nessun´altra metropoli della fantascienza. Somiglia piuttosto al passato: ci sono le viuzze di ciottoli, le casette vittoriane, i canali con le barchette, ma anche automobili, supermercati, cartelloni pubblicitari. Solo uno sguardo più attento rivela poco per volta qualcosa fuori dall´ordinario. I pannelli solari su ogni tetto. La gente che raccoglie liberamente frutta e noci dagli alberi che cingono le strade. E in generale l´alta percentuale di persone con facce, modi, abbigliamento del tipo che si usa definire "alternativo". Volti e abiti non costruiscono il futuro, ma i cervelli che ci stanno dentro sì. Quello di Rob Hopkins s´illuminò - "la mia illuminazione sulla via di Damasco" la definisce lui - partecipando sei anni fa a una conferenza sulla fine del petrolio. La consapevolezza che il mondo industrializzato avrebbe finito il carburante, sommata all´ansia per il cambiamento climatico, gli fecero comprendere quanto sia stupida la nostra dipendenza da una vita "insostenibile". Il progetto delle Transition Towns nacque così. Le Città della Transizione: transizione verso un futuro migliore, alimentato da un´energia sostenibile cioè sempre rinnovabile, improntato al rispetto dell´ambiente. In una parola, un futuro "vivibile", spiega Hopkins, «in cui mantenere il livello di comfort e progresso tecnologico che abbiamo raggiunto, senza rischiare di retrocedere al Medio Evo». Dopo un breve esperimento in un villaggio irlandese, dove era andato a insegnare "permacultura", una tecnica di orticultura sostenibile modellata sull´ecologia del mondo naturale, il fondatore di questo tentativo di ritorno al futuro è tornato a casa propria, in Inghilterra, nella sua città natale, Totnes: «Il luogo con le dimensioni e le caratteristiche giuste», osserva, per lanciare la sua iniziativa. Una cittadina di medie dimensioni, 23 mila abitanti, nella contea del Devon, a pochi chilometri dal porto di Plymouth e dalla costa della Manica. Un posto con un passato, come testimonia l´architettura locale, ma pure con legittime aspirazioni al futuro: con allacciamento internet in banda larga in tutte le case, la tivù via cavo, una piccola ma creativa comunità di artisti. Questi ultimi, gli "alternativi" come li chiamano con un pizzico di diffidenza i pensionati che bevono birra al bancone dei pub, un tempo venivano per il clima più mite e per i prezzi più bassi. Adesso arrivano attirati dal "progetto". Dalla "transizione". Dal "movimento". A sentirli parlare, sembra che ci sia qualcosa di mistico o di rivoluzionario nell´idea lanciata da Rob Hopkins, sebbene lui, occhialini, orecchie a sventola, sorriso mite, cardigan con lo zip, non abbia nulla del capopopolo. «Le Transition Towns non sono la Coca-Cola», avverte. «Non ho trovato una formula magica da replicare ovunque. Non sono il leader. Sono solo quello che ha cominciato». Ma a volte le rivoluzioni hanno bisogno di gente normale. La sua ha già contagiato 350 comunità in mezzo mondo, Italia compresa, anche se la maggior parte, un paio di centinaia, per ora sono in Gran Bretagna. Totnes è stata la prima, ha la reputazione di essere la meglio riuscita, un giornale importante come l´Observer di Londra sostiene che è la città più ecologicamente avanzata del mondo. La città futura. Di certo, con tutti gli ex-hippie e i bohemienne che si vedono in giro per le sue strade, sembra un paradiso della generazione New Age. Vediamo un po´ come funziona. «Non si può aspettare che siano gli stati e i governi a cambiare il sistema, perché inevitabilmente si muovono lentamente e in ritardo», chiarisce il fondatore, anche se non gli piace essere chiamato così, delle Transition Towns. «E non basta l´impegno individuale, il singolo o la famiglia che comprano un´auto elettrica, abbassano il riscaldamento, riciclano la carta del giornale, perché è troppo poco. La mia idea, sorry, la nostra idea, è una via di mezzo, creare una comunità di individui tenuti insieme dalle stesse convinzioni sulla necessità di un´energia e un modo di vita sostenibile. E poi fare in modo che questa comunità agisca, prenda almeno un po´ di potere, cominci a modificare il sistema. Un movimento popolare dal basso. Se insistiamo, prima o poi chi sta in alto, i potenti, saranno costretti a venirci dietro». Hanno cominciato in due, Hopkins con la moglie e i loro quattro figli, che a Totnes sono di casa, più Ben Brangwyn, uno degli "alternativi" che vi si era trasferito: «Gli ho sentito illustrare il progetto a un´assemblea di quartiere e sono andato a dirgli che ci stavo», ricorda. Poi gli adepti sono diventati dieci. Quindi cento. Ora sono quasi tutta la città. Senza bisogno di decreti comunali e votazioni, senza necessità di leggi e regolamenti, hanno messo i pannelli solari sui tetti. I camini e le stufe a legna. Gli orti nei giardini e gli alberi da frutto lungo le strade cittadine. Hanno avviato il programma di riciclaggio dei rifiuti. Enfatizzato i trasporti pubblici, le biciclette e le auto elettriche. Preso l´impegno a riversare ogni aspetto dell´economia locale su aziende e commerci basati localmente, battendo perfino una "moneta" del posto, il "Totnes pound", la sterlina di Totnes, che può essere spesa solo dentro le sue mura. E predicano l´acquisto di prodotti coltivati in loco. Coniugandolo col web: a Totnes è possibile aggirare le catene di supermarket nazionali, facendo l´intera spesa via internet presso gli agricoltori e le fattorie della zona, che la consegnano a domicilio, facendo lavorare di più l´agricoltura locale e spendere di meno la popolazione. «Noi non abbiamo bisogno di sprecare soldi per lunghi trasporti e quindi possiamo fare prezzi del 30-40 per cento più bassi», testimonia John Crisp, uno dei farmers della contea, venuto in città a fare le consegne col suo camioncino sporco di fango. «Ogni tanto arrivano giornalisti o perfino turisti che hanno sentito parlare di Totnes come la città ambientalista, la città del futuro, e restano delusi perché ci sono ancora le macchine nelle strade e non abbiamo capre sui tetti», ride Hopkins. «Ma questo è un progetto in divenire. C´è ancora molto da fare. Fra dieci anni Totnes sarà più eco-sostenibile di oggi e nel 2031 ancora di più. Soprattutto, speriamo che per quella data tante altre comunità abbiano seguito il nostro esempio. Si può fare, e da soli, senza aspettare il permesso da nessuno. Si può fare». Bisognerebbe dirgli che parla come Obama. Che sembra un profeta deciso a convertire i dubbiosi. Avrebbe anche il vangelo: se l´è scritto da solo, "The Transition Handbook", un manuale per chi vuole replicare altrove la piccola rivoluzione di Totnes. È un nome che viene dall´Old English, dall´inglese arcaico, Totnes: da Totta e Ness, che voleva dire "promontorio". Un significato appropriato per un luogo da cui scrutare il futuro, anche se a prima vista quaggiù si vede più che altro la Old England: ciottoli, archi, guglie, tetti di paglia, le rovine di un castello del 1200 e di una vecchia abbazia benedettina. «Ma proprio questo è il punto», s´illumina il profeta Hopkins. «Bisogna guardare avanti per conservare quello che eravamo e che siamo, per scongiurare un ritorno ai secoli bui». La Transizione è iniziata. Speriamo che finisca bene. ENRICO FRANCESCHINI, la Repubblica 22/2/2011 PRATO ALLO STELVIO Settecento mucche, i boschi in quota, i ruscelli, qualche pala eolica e tanti pannelli fotovoltaici. È questo il mix che fa di Prato allo Stelvio un esportatore di energia. In un´Italia che dipende per oltre l´80 per cento dai combustibili fossili, i 3.300 abitanti di questo paese accomodato in un altopiano sotto lo Stelvio, a cavallo del parco, 12 chilometri dalla Svizzera, vendono elettricità. Ne producono con il biogas, con il sole, con l´acqua, con il vento, con la legna. Ne producono più del doppio di quella consumata. Una performance che, superando 2.600 Comuni europei in gara, ha fatto guadagnare al paese il premio Res-Champion 2010 per le fonti rinnovabili. E al sindaco, Hubert Pinggera, un veterinario di 57 anni pacatamente determinato, una rielezione plebiscitaria perché le bollette super scontate e il rilancio dell´occupazione sono stati particolarmente graditi. Ecologica ed economica, qual è il segreto di questa energia? «Abbiamo cominciato a sfruttare i salti di acqua con una cooperativa nel 1925» racconta Georg Wunderer. «Ed era l´anno in cui la rete elettrica è arrivata fin qui», aggiunge il presidente della cooperativa per l´energia. «Poi all´inizio degli anni Ottanta - prosegue Wunderer - ci siamo ritrovati con impianti vecchi e poco potenti. Potevamo vendere tutto all´Enel e toglierci il pensiero. Oppure investire per rimodernare le centrali, ma ci volevano soldi e le banche esitavano. Allora ho dato in garanzia il patrimonio personale, senza dirlo neanche a mia moglie. E siamo ripartiti. Dal 1985 abbiamo investito 35 milioni di euro per costruire tanti piccoli impianti e una rete di teleriscaldamento. Sono 22 chilometri di tubazioni per portare acqua calda dalla centrale a biogas in tutti gli edifici del paese: grazie a questo sistema il calore prodotto generando elettricità non viene buttato, come spesso avviene, ma si trasforma in energia utile. Il sistema funziona come un gigantesco termosifone in cui l´acqua parte a 90 gradi, passa per le case, torna indietro a 45 gradi, viene scaldata di nuovo e rimessa in circolazione». Insomma, oltre all´elettricità, anche il calore abbonda. È un mix ecologico quasi perfetto (manca un po´ legna locale e un po´ d´eolico per i picchi di consumo invernale). E funziona bene perché a Prato allo Stelvio l´energia è di tutti e ognuno fa la sua parte. I pastori portano il letame delle mucche alla centrale a biogas: forniscono energia, che si sviluppa durante il processo di fermentazione, e ritirano concime buono per i campi. Chi lavora nei boschi offre legna. Gli artigiani e le piccole imprese hanno coperto i tetti dei capannoni di fotovoltaico. La cooperativa ha acquisito una quota di eolico in un impianto nella valle. All´inizio dell´avventura Wunderer ha passato qualche notte in bianco pensando ai debiti che si era caricato sulle spalle, ma oggi, a fronte di un investimento complessivo di un milione di euro da parte degli abitanti del paese che aderiscono compatti alla cooperativa, c´è un ritorno di 1,5 milioni di euro l´anno per la cooperativa stessa, le bollette elettriche sono scese del 35 per cento, quelle del riscaldamento si sono dimezzate. Solo con il fotovoltaico (5 megawatt) si produce la metà del consumo elettrico di tutto il paese. Quella di Prato allo Stelvio, con l´acqua gestita bene dal Comune e la raccolta differenziata dei rifiuti al 58 per cento, è una formula vincente che si sta estendendo ai 13 comuni della Val Venosta. «Il nostro punto debole sono i trasporti, ma ci stiamo organizzando», assicura il sindaco. «Nel 2005 una consultazione popolare ha bocciato il progetto di un´autostrada nella valle. E così abbiamo recuperato il treno. Le ferrovie lo consideravano un ramo morto, noi lo abbiamo fatto funzionare tanto bene che dovremo raddoppiare le corse. Così gli spostamenti in auto si sono ridotti al 55 per cento del totale, un viaggio su 4 è in bici, il 18 per cento è a piedi». L´altro punto critico restano le case che in Italia consumano il 40 per cento dell´energia. A Prato allo Stelvio quelle nuove non possono usare combustibili fossili per scaldarsi: solo teleriscaldamento, legna o geotermia. E il consumo energetico per metro quadro deve essere un terzo della media nazionale. «Va bene, ma non ci accontentiamo: ora bisogna ristrutturare le case esistenti», annuncia l´assessore all´ambiente, Manfred Lechner. La rivoluzione energetica continua. ANTONIO CIANCIULLO, la Repubblica 22/2/2011