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 2011  febbraio 21 Lunedì calendario

THOMPSON IL PRIMO SUPERMAN

Non ne fanno più di omaccioni così. Mister Fatica. Nel secolo breve andavano di moda le gare lunghe. Quelle dove corri, salti, lanci, e alla fine stramazzi. Dieci gare in due giorni. Fiato a perdere, e pure i muscoli. Daley Thompson è stato il primo Superman coloured inglese. Un Supereroe dalle cattive maniere. Non da pranzo con la regina, anzi era il campione bastardo dello sport britannico. Baffoni e irriverenza. Momenti di Gloria in periferia. Quando ancora Notting Hill non era di moda. Un po´ teddy boy, un po´ Mods, uno che anticipava la ribellione punk. Rude, antipatico, maleducato. Faceva e diceva sempre le cose sbagliate, ma nel decathlon era un dio giusto. A Los Angeles ‘84 dopo aver vinto l´oro, si mise una maglietta con la scritta «Il secondo atleta più grande del mondo è gay?», chiara l´allusione al suo primato e a Carl Lewis. Ai Giochi del Commonwealth nell´82 rifiutò di portare la bandiera: «Fa caldo e non ho tempo da perdere». Quando vinse il premio della Bbc come miglior atleta dell´anno esclamò in diretta: «Oh merda». A chi gli chiedeva autografi rispondeva: fottiti. Non s´inteneriva. Anzi, andava in giro a dire che avrebbe fatto figli con la principessa Anna. Insomma, uno da tenere alla larga. «Volevo essere il migliore, non m´interessava la fama».
Thompson a torso nudo era una spremuta di ormoni. Lui non faceva nulla per nasconderlo: sette anni senza sconfitte. Imbattibile: due ori olimpici consecutivi (‘80 e ‘84), quattro record mondiali, il primo ad avere quattro titoli in contemporanea. Ha detto l´ex ct inglese: «L´animale più competitivo mai visto». I rivali per stargli dietro vomitavano, lui sghignazzava. «A Los Angeles chiesi alla federazione una maglietta di ricambio. Dopo cinque gare la mia era uno straccio bagnato. Il magazziniere che ne aveva cento, mi disse no, dovevo lavarmi la mia. Per questo non ho buoni rapporti con i dirigenti: ti sfruttano, ti usano, ti mettono la mano sulla spalla, perché hanno bisogno dei tuoi successi, ma quando ti volti, non trovi più nessuno».
Daley ha un´infanzia minacciosa e minacciata. Sua madre Lydia viene da Dundee, il padre dalla Nigeria, ma se ne va presto. «Avevo sei anni, ero un guaio per tutti, mamma mi mandò a Farley Close, nel Sussex, una scuola per bimbi problematici» Il padre che ha una compagnia di taxi, una notte viene ucciso. «Gli ha sparato il marito della signora che lui riaccompagnava a casa». La mamma è chiara: «O ti trovi un lavoro o te ne vai». Lui si sistema da una che chiama zia. «Volevo fare il calciatore, ma vidi in tv i Giochi di Monaco ‘72 e mi misi a tifare per il sovietico Borzov che sui cento metri batteva gli americani». Great Britain, ma molto ribelle. «Io mi stropicciavo di fatica, ma mi divertivo, Sebastian Coe mi chiamava ‘Lo stalinista´, perché non volevo mai smettere. Il mio primo decathlon è nel ‘75, a Cwmbran, nel Galles. Alla fine del primo giorno mi dico: potrei essere bravo, anche se nell´asta avevo difficoltà». Nella corsa e nel salto invece no. Il decathlon non è una disciplina, ma qualcosa che ti ammazza. Prima però ti tira fuori tutto, se vuoi morire hai ampia scelta di mezzi: sprint, ostacoli, mezzofondo, salti, lanci, asta. «Gli atleti di oggi? Sono seri, annoiati, stressati. Tranne Bolt. Parlano molto e non dicono niente. Per non dispiacere a nessuno, soprattutto ai loro sponsor. Fanno grandi performance, ma non hanno personalità. Polli da batteria. Lo chiamano progresso».
Thompson ha 53 anni. Continua a essere indigesto, a non mettere smoking, ma gira il mondo per il progetto Laureus, per aiutare chi non ha possibilità. È ambasciatore di Londra 2012. Ha cinque figli da due matrimoni. «Il primo ha venti anni, l´ultimo quattro. I ragazzi oggi hanno la play station, in un´ora diventano campioni nei loro giochi, come glielo spieghi che nella realtà è tutto diverso? Nell´atletica per avere risultati devi attendere almeno sei anni, è un lenta costruzione, i bambini non hanno tempo, né pazienza. Nessuno gli insegna ad aspettare, solo ad ottenere. Ma l´atletica per restare competitiva deve fare meeting più brevi, in un´ora e mezza tutto deve finire. Il doping è la scorciatoia, sento dire: poverino ha sbagliato, va capito e aiutato. Perché? Sono farabutti, da squalificare a vita. Al sistema non interessa scovarli. Fa più morale un eroe, anche se falso, che un peccatore. Marion Jones l´hanno tenuta sul piedistallo per anni, invece di verificare cosa ci fosse dietro. L´ho detto e ridetto: il mio modello resta Alì. Impensabile oggi che un campione rinunci al suo titolo nel momento migliore della sua vita per una questione di principio. Te lo impedirebbero gli sponsor».
Thompson ha ancora il record nazionale inglese di decathlon. «Mi vedo ancora con il tedesco Jurgen Hingsen, mio ex rivale. Ci siamo combattuti per tutta una vita e siamo diventati amici. Ad Abu Dhabi aiuto Laureus a trovare fondi. Ho girato paesi poveri, sono stato in molte situazioni terribili, ma dove non voglio più tornare è in Sudafrica. Lì ho visitato i centri dove i malati di Aids passano i loro ultimi giorni. Ce n´erano sessanta, ormai allo stremo, e presto i loro letti sarebbe stati occupati da altri. Quella certezza mi ha fatto male. Pure se ho fatto il decathlon, se ho strapazzato record, non sono una bestia. Il cuore fa male anche a me».