Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 22/02/2011, 22 febbraio 2011
TUTTI CAMBIANO OPINIONE ANCHE I COMUNISTI
Hanno un bel dire, la maggior parte dei commentatori (e, mi pare, lei con loro), che il comunismo, in specie tra noi, è morto e che parlarne è ridicolo. Certo, difficile oggi in Italia (e starei per dire, purtroppo, dato che era gente seria) trovare un togliattiano. Facilissimo, di contro, incontrare tra i magistrati e soprattutto leggere sui giornali o ascoltare via radio e tv uno di quei comunisti all’italiana, e per questo maggiormente pericolosi, che l’or ora ricordato «migliore» avrebbe eliminato subito (a meno di poterli usare come «utili idioti» ), malissimo sopportando le anime belle e il politicamente corretto. Confermano queste mie parole e l’appartenenza correntizia di molti magistrati e la provenienza di un infinito numero di giornalisti i quali — e chiunque può verificarlo— si sono fatti le ossa sui fogli dell’estrema sinistra se pure non hanno militato in movimenti vicini al terrorismo rosso. «Semel abbas, semper abbas» si diceva e nessuno può farmi credere che un comunista (come un fascista e come confermano i comportamenti) possa cambiare! E avessero almeno studiato invece di crogiolarsi nella loro ben retribuita ignoranza.
Mauro della Porta Raffo Varese
Caro della Porta Raffo, credo invece che una persona intelligente possa cambiare più volte nel corso della sua vita. Joseph Henry Newman fu un sacerdote anglicano e divenne un cardinale cattolico. Winston Churchill fu dapprima conservatore, poi liberale e infine, ancora una volta, conservatore. Mussolini nacque internazionalista, divenne nazionalista e morì, probabilmente, socialista. Altiero Spinelli e Leo Valiani furono comunisti, ma «abiurarono» dopo il patto tedesco-sovietico del 1939. Joschka Fischer fu uno scatenato «sessantottino» negli anni della gioventù ed è divenuto un eccellente ministro degli Esteri della Repubblica federale. Chicco Testa fu segretario generale di Lega Ambiente e organizzò le manifestazioni antinucleari del 1986, ma è oggi favorevole allo sviluppo dell’energia nucleare. E potrei citare molti altri casi di persone che hanno cambiato parere e non possono per questo essere considerate voltagabbana. Vi sono naturalmente anche coloro che cambiano opinione per convenienza e opportunismo. Ma non credo che i comunisti rappresentino un caso a sé, diverso da quello di qualsiasi altra famiglia di pensiero. Hanno constatato che le contraddizioni del capitalismo esistono, ma non sono tali da decretarne la morte. Hanno assistito all’implosione dell’Urss, sconfitta non dagli Stati Uniti ma dalla sua incapacità di riformarsi. Hanno toccato con mano, nel 1989, la straordinaria fragilità dei regimi che la «patria del socialismo» aveva edificato nell’Europa centro-orientale dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Hanno dovuto ammettere che il capitalismo asiatico ha creato una nuova borghesia e che la lotta di classe è molto più costosa di un buon accordo sindacale. Dopo uno shock iniziale hanno accettato e assorbito le lezioni della storia. Aggiungo che il comunismo italiano, nelle particolari condizioni del nostro Paese, è stato anche un contropotere, la zona della società in cui si potevano denunciare i vizi del regime democristiano e fare esperienze politiche, sociali e culturali. Lei ha probabilmente ragione quando osserva che vi sono aree della magistratura e del giornalismo in cui sopravvivono riflessi e orientamenti di origine comunista. Ma questi riflessi e orientamenti appartengono alla cultura dei singoli magistrati e giornalisti, non a una forza politica da combattere come tale. Per concludere, caro della Porta Raffo, i comunisti e i fascisti sono un fenomeno paragonabile a quello dei legittimisti borbonici e bonapartisti in Francia dopo l’avvento del Secondo Impero e della Terza Repubblica. La loro presenza nella società può avere effetti politici, ma è fondamentalmente un problema generazionale.
Sergio Romano