Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 22/02/2011, 22 febbraio 2011
RADIOGRAFIA DI FINMECCANICA, I DUE VOLTI DELL’ERA GUARGUAGLINI
Il 4 aprile il governo deciderà le liste per i consigli di Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e Poste Italiane, le principali società controllate dal Tesoro. Benché abbia già cominciato a occuparsene anche il Financial Times, colpito dagli appetiti della Lega, saranno decisivi gli ultimi giorni. Ma fin d’ora si può dire che la posizione più a rischio è quella di Pier Francesco Guarguaglini, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, il più anziano, 74 anni, e il più potente dei manager pubblici, data anche l’insolita concentrazione delle cariche. A insidiare la doppia riconferma di Guarguaglini sono le indagini giudiziarie su alcune società del gruppo che, pur non toccandolo direttamente, coinvolgono alcuni suoi stretti collaboratori e la moglie, top manager della controllata Selex. Probabilmente Finmeccanica dividerà gli incarichi. D’altra parte, sono complesse le valutazioni sulla gestione di Guarguaglini e sulle sfide future. Diversamente dalla privatizzazione di Telecom Italia, la parziale fuoriuscita dello Stato da Finmeccanica si è rivelata un successo per le casse del Tesoro, che è riuscito a venderne il 43%a 27 euro per azione, una delusione per gli investitori della prima ora che non hanno mai più visto quel prezzo, e la premessa di una nuova stagione industriale. Guarguaglini prende la guida di Finmeccanica nell’aprile 2002, quando la Borsa la considera poco più di un derivato della partecipazione Stm, ricevuta dal Tesoro nell’imminenza del collocamento del 2000. Otto anni fa, Finmeccanica valeva 8 miliardi, di cui 5,8 rappresentati dalla quota Stm. Adesso, è un gruppo importante della difesa e dell’aerospazio, il cui capitale vale 5,6-5,8 miliardi senza più Stm. Il paragone tra ieri e oggi, per quanto discutibile, resta la chiave per capire. L’azionista Stato può arricciare il naso davanti al titolo: dall’aprile 2002 ai giorni nostri, Finmeccanica perde il 41%mentre l’indice europeo Aerospace &Defense guadagna il 13%. La divaricazione rispetto all’indice coincide con l’acquisizione dell’americana Drs Technologies nel maggio 2008, pochi mesi prima del crac Lehman. Troppo alto il prezzo, sentenziano gli analisti. Certo, da qualche giorno sembra in atto un recupero perché la generazione di cassa di Finmeccanica supera i prudenti annunci. Più in generale, le imprese della difesa tornano a essere vendute ai prezzi pre-crisi. Ma più che seguire questi alti e bassi, l’azionista Stato dovrebbe considerare che cosa vuole da Finmeccanica, visto che per statuto e per legge se la tiene stretta. Il governo avrà a cuore la spesa di Finmeccanica in ricerca e sviluppo, più o meno 2 miliardi l’anno: come la Fiat che, però, fattura il triplo. E si badi che dopo questo tandem c’è il deserto. Ma il giudizio su Guarguaglini può avere anche un punto di partenza. Al netto della boom e dello sboom dei titoli tecnologici che ne hanno influenzato i corsi borsistici, Finmeccanica aveva una dote, il pacchetto Stm da trasformare in denaro per pagarsi un po’ di espansione, a patto di vendere in modi e tempi tali da non compromettere il controllo congiunto italo-francese sull’azienda dei semiconduttori. All’atto pratico, questa dote ha fatto incassare 1,9 miliardi. Negli ultimi 8 anni, assieme a un aumento di capitale di 1,2 miliardi, debiti aggiuntivi per 2,3 miliardi e all’autofinanziamento disponibile per 2,1 miliardi, la dote Stm ha concorso a finanziare acquisizioni per ben 7,5 miliardi. Una campagna che ha trasformato Finmeccanica in un soggetto multinazionale rilevante nell’industria della difesa. In questa logica, diversa da quella del cassettista, la gestione Guarguaglini può essere rivista al netto delle interferenze Stm. Se si rettifica il termine di paragone, ossia il valore di Finmeccanica dell’aprile 2002, depurandolo della «droga» Stm e conteggiandovi invece gli incassi effettivamente ottenuti dalla sua liquidazione, allora emerge una rivalutazione di 5-600 milioni, modesta ma in linea con il settore. Più di questa rivalutazione, tuttavia, è l’espansione delle attività che può colpire il governo. Nel 2001, Finmeccanica fatturava 6,7 miliardi con un margine operativo netto, dopo gli ammortamenti, di 202 milioni. Nel 2010, viaggia sui 18,5 miliardi con un margine di 1,5 miliardi. E ha ordini per 22 miliardi. Nel frattempo, il debito finanziario è salito da 2 a 6,5 miliardi ovvero da meno di 500 milioni a 3 miliardi, al netto della liquidità. E questo a fronte di un patrimonio netto contabile di 6,8 miliardi e di uno tangibile, e cioè depurato dagli avviamenti, di un miliardo. Questi sono i punti cruciali per l’azionista: se agli avviamenti corrisponda un’adeguata capacità di reddito e se la rappresentazione del debito, al netto dei risaputi effetti stagionali, sia convincente. I conti di Finmeccanica dicono che il ritorno sul capitale investito nell’anno 2009 resta superiore a quello del 2004 (anno di introduzione dei nuovi principi contabili): il 16,7 contro il 15,5%. Mentre gli anticipi corrispondono allo stato di avanzamento dei contratti pluriennali senza che siano emerse restituzioni. Ciò non toglie che, come nota Citi, un debito pari a 1,4 volte il margine operativo lordo sia proporzionalmente il più elevato del settore. Per ridurlo, Finmeccanica dovrà generare più cassa, tagliando i costi direzionali centrali e periferici e misurando meglio gli investimenti pretesi dagli ingegneri, tra i quali è arduo distinguere la preveggente passione per il prodotto dalle logiche di spesa delle partecipazioni statali. Potrà anche, Finmeccanica, mettere a frutto gli immobili piuttosto che rivisitare le attività civili. Ma il domani starà nel riposizionamento nel mondo che cambia: le radici in Italia, Usa e Regno Unito assicurano le migliori tecnologie, ma tra il 2008 e il 2010 il budget mondiale della difesa, 350 miliardi l’anno, si è già spostato per una cinquantina verso Cina, India, Brasile, Russia, Arabia Saudita e Turchia, aspiranti nuove potenze. Le inchieste sembrano spingere verso un papato straniero. La sfide interne ed esterne di Finmeccanica reclamano rinnovamento culturale e pure anagrafico, ma senza prescindere dalla conoscenza dei punti di forza e di debolezza di ciascuna parte del gruppo e dalla libertà di incidere dove serve.
Massimo Mucchetti